Bartolomeo Fronteddu

Bartolomeo Fronteddu
NascitaOrani, 6 maggio 1890
MortePadova, 14 agosto 1944
Cause della morteassassinio
Luogo di sepolturacimitero di Dorgali
Dati militari
Paese servitoItalia (bandiera) Italia
Repubblica Sociale Italiana (bandiera) Repubblica Sociale Italiana
Forza armataRegio esercito
Esercito Nazionale Repubblicano
ArmaFanteria
CorpoGuardia Nazionale Repubblicana
Gradotenente colonnello
GuerreGrande Guerra
Seconda Guerra Mondiale
CampagneCampagna di Grecia
BattaglieBattaglie dell'Isonzo
Comandante diBattaglione Volontari di Sardegna - Giovanni Maria Angioy
Decorazionivedi qui
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Bartolomeo Fronteddu (Orani, 6 maggio 1890Padova, 14 agosto 1944) è stato un militare italiano, rimasto grande invalido di guerra nel corso della Grande Guerra, cinque volte decorato al valor militare,[1] tre volte ferito. a partire dal 1943 fu il comandante del Battaglione Volontari di Sardegna - Giovanni Maria Angioy della Repubblica Sociale Italiana.

Nacque per caso ad Orani, provincia di Nuoro, il 6 maggio 1890,[2] figlio di Ciriaco di origini dorgalesi. Durante la Grande Guerra, con il grado di capitano prese parte alle prime offensive sull'Isonzo finché fu gravemente ferito nel corso del 1915, subendo l'amputazione del braccio destro.[3].

Ripreso servizio, fu insignito per le sue azioni della medaglia d'argento e di due medaglie di bronzo al valor militare.[1] Promosso maggiore nel 64º Reggimento fanteria "Cagliari", fu preso prigioniero dagli austriaci nel 1916 che lo rilasciarono l'anno seguente nel corso di uno scambio di prigionieri.[3].

Ritornò presto al fronte, inquadrato nel III Battaglione del 74º Reggimento fanteria "Lombardia"[4]. Prstò successivamente servizio durante le operazioni militari per la riconquista della Libia, operando in Cirenaica al comando del XXII Battaglione Eritreo.

Nel corso della seconda guerra mondiale col grado di tenente colonnello della riserva (anzianita' 1º marzo 1938), venne impiegato come comandante del 48º Reggimento fanteria "Ferrara" nella campagna di Grecia dove si distinse nel settore di Lekeli-Libohvo, venendo decorato con una terza medaglia di bronzo al valor militare, e permanendo poi in Montenegro sino al 1943.

All'atto dell'armistizio dell'8 settembre 1943 si trovava presso l'isola della Maddalena al comando del 591º Battaglione costiero.[5]

Nell'ottobre 1943, rientrato a Roma, su decisione del sottosegretario alla Presidenza della Repubblica Sociale Italiana Francesco Maria Barracu, assunse il comando del neocostituito Battaglione Volontari di Sardegna - Giovanni Maria Angioy,[6] un reparto formato esclusivamente da sardi.[7] L'interesse suscitato da un reparto a carattere etnico nell'Esercito Nazionale Repubblicano portò un giornalista della rivista Signal[8] a fargli una lunga intervista, in cui ricordandone i precedenti bellici della prima guerra mondiale, lo presentò ai lettori:

«Il mio ospite aveva un solo braccio; l'altro, il destro, lo aveva perduto da giovane tenente nel 1915 in una battaglia dell'Isonzo. Appena guarito da questa ferita, raggiunse nuovamente il fronte quale comandante di una compagnia e combatté in prima linea, ove nel 1916 venne fatto prigioniero dagli Austriaci della "K.K. Edelweis - Division". I nemici gli lasciarono la pistola e dopo alcuni mesi lo scambiarono»

.[8]

Nel gennaio 1944, a Cremona, cedette il comando del battaglione al capitano Achille Manso e assunse un nuovo incarico, a Padova presso il Comando provinciale della Guardia Nazionale Repubblicana e dove, il 14 agosto 1944, fu ucciso insieme all'autista da un gruppo di gappisti del Partito d'Azione[9]. L'attentato, avvenuto tra via Santa Lucia e via Marsilio da Padova,[10] in realtà aveva per obiettivo il generale Umberto Piatti dal Pozzo[N 1], ex responsabile del Comando Militare Regionale veneto.[3] Per rappresaglia furono impiccati e fucilati[N 2] dieci partigiani, fra cui il medico oristanese Flavio Busonera, componente comunista del CLN di Padova e Luigi Pierobon, successivamente decorato con la Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.[9]

Nonostante Federigo Menna, prefetto di Padova, abbia incolpato con una certa rapidità la Resistenza per la morte del tenente colonnello Bartolomeo Fronteddu, ordinando l'esecuzione di 10 detenuti già presenti nelle carceri di Padova perché sospettati a vario titolo di simpatie per la causa partigiana, già dalle prime indagini emerse che in realtà l'assassinio era stato commissionato a 7 sicari provenienti dallo stesso ambiente fascista, dietro un compenso di 50.000 lire dell'epoca corrisposto dal sergente Martin, di origine austriaca arruolato nella Wehrmacht, per motivi di rivalità riconducibile alle frequentazioni di Fronteddu con una donna (tedesca) della quale si era invaghito.[10]

Sebbene informato su chi fossero i veri mandanti, Menna ordinò comunque l'esecuzione dei 10 ostaggi, nonostante fosse evidente la loro estraneità materiale e politica.[10] Nel settembre 1944, circa un mese dopo l'esecuzione dei 10 simpatizzati partigiani, anche 3 dei sicari fascisti vennero identificati e passati per le armi.[10][11]

Dopo circa un anno da questi avvenimenti, a guerra finita, nel 1946 la Corte di Assise Straordinaria di Padova iniziò un processo per individuare le responsabilità dell'ex prefetto Menna nel corso del quale Tullio Calafati, italiano ex ufficiale arruolato nelle SS tedesche e altri 3 agenti della polizia repubblichina testimoniarono che Menna era stato immediatamente informato che i veri responsabili dell'uccisione di Fronteddu erano da ricercarsi tra i ranghi dei fascisti stessi e non nell'ambiente della Resistenza.[10]

Il tribunale appurò che l'assassinio di Fronteddu rientrava nell'ambito comune e non politico e pertanto l'esecuzione dei 10 simpatizzanti partigiani non era classificabile neppure come rappresaglia per motivi di guerra, ma si configurava piuttosto come una ingiustificata intimidazione contro la popolazione per la quale Federigo Menna venne ritenuto colpevole, e condannato a morte mediante fucilazione seppure in contumacia.[10] Menna era nel frattempo fuggito in Argentina, rendendosi irreperibile.[10]

Medaglia d'argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Comandante di compagnia con perizia slancio e valore, assolveva compiti assai difficili e arditi, ottenendo ottimi risultati e riuscendo a ristabilire il contatto, con le truppe laterali, in terreno insidioso, di cui ricacciava il nemico. Assunto poi interinalmente il comando del battaglione e ricevuto l'ordine di far avanzare una sola compagnia, per concorrere all'attacco di una posizione, riservava a se tale compito, assolvendolo brillantemente. Ferito, non lasciava il reparto, benché per le gravi perdite subite, l'azione fosse stata sospesa, per poter proseguire in essa, come fece nella notte seguente, raggiungendo l'obiettivo rafforzandosivi e respingendo ripetuti attacchi nemici. Vippacco (Carso), 11-15 agosto 1916
Medaglia di bronzo al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Durante una difficile azione offensiva, rimasto gravemente ferito il comandante del battaglione, lo sostituì nel comando, e, con bell'esempio di calma e valore, seppe mantenere alto lo spirito aggressivo nei dipendenti. Velki Kribak 14-16 settembre 1916
Medaglia di bronzo al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Saputo che innanzi alla nostra linea di combattimento vi erano parecchi militari austriaci nascosti in un ricovero, unitamente a soldati nostri feriti e catturati mentre erano in pattuglia, volontariamente, nottetempo, vi si recava con un drappello, e nonostante il fuoco incessante cui era fatto segno, riusciva a catturare i nemici e liberare i nostri soldati. Altopiano carsico 5 novembre 1916
Medaglia di bronzo al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Comandante di battaglione, in più giorni di dura lotta contro retroguardie nemiche , superando forti difficoltà di terreno, dava prova di coraggio e di abilità nell'impiego del reparto. Più volte impegnava audacemente il nemico, travolgendolo sempre con azioni ardite e decise. In modo particolare si distingueva attaccando all'arma bianca, alla testa dei propri uomini, una forte retroguardia avversaria, riuscendo a travolgerla ed a catturare armi e prigionieri. Zona di Lekeli-Libohvo (fronte greco), 17-20 aprile 1941
  1. ^ Nel libro di Carlo Cocut è riportato: il 14 agosto, a seguito di un attentato dei GAP mirato ad uccidere il Gen. Piatti, rimane ucciso con l'autista.
  2. ^ Il 17 agosto 1944 Primo Barbiero, Saturno Baudin, Antonio Franzolin, Pasquale Muolo, Luigi Pierobon, Cataldo Presicci e Ferrucco Spigolon vengono fucilati alla caserma di Chiesanuova (a Padova), e in quello stesso giorni impiccati ai lampioni di via Santa Lucia Clemente Lampioni, Flavio Busonera, e Ettore Calderoni.
  • Carlo Cocut, Forze armate della R.S.I. sul confine orientale (Settembre 1943-Maggio 1945), Voghera, Marvia, 2009.
  • Gabriele Coltro, I crimini di Salò. Venti mesi di delitti della Repubblica Sociale nelle sentenze della Corte d'Assise straordinaria di Padova, Firenze, goWare, 2020.
  • Alberto Monteverde. Volontari con le Arresojas. Il Battaglione Volontari di Sardegna Giovanni Maria Angioy. In “Uniformi e Armi” n. 138 dell’ottobre 2007. Ermanno Albertelli Editore. Parma 2007.
  • Dolores Negrello, A pugno chiuso: il Partito comunista padovano dal biennio rosso alla stagione dei movimenti, Milano, Franco Angeli Editore, 2000.
  • Daniele Sanna (a cura di), La Sardegna e la guerra di liberazione: Studi di storia militare, Milano, Franco Angeli Editore, 2018.

Collegamenti esterni

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