Chiesa di San Salvador

Chiesa del Santissimo Salvatore
Chiesa di San Salvador
La facciata
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneVeneto
LocalitàVenezia
Coordinate45°26′11.76″N 12°20′11.4″E
Religionecattolica di rito romano
TitolareGesù Salvatore
Patriarcato Venezia
ArchitettoTullio Lombardo, Giorgio Spavento e Giuseppe Sardi
Stile architettonicoRinascimentale
Inizio costruzione1507
Completamento1534
Sito webwww.chiesasansalvador.it

La chiesa del Santissimo Salvatore, vulgo San Salvador, è un luogo di culto cattolico di Venezia, situato in campo San Salvador, nel sestiere di San Marco, un luogo già ritenuto in passato il centro della città. La chiesa dà pure il nome ad un tratto delle Mercerie. Di antichissima fondazione, crebbe di importanza nel corso del Medioevo per venire quindi riscotruita dalla fondamenta a partire dal 1507 in forme ariose e monumentali su sovvenzione dello Stato veneto, ed è oggi collocabile tra le più grandi chiese veneziane.

A partire dal XII secolo la chiesa fu affidata alla cura dei Canonici Regolari Lateranensi che l'ebbero in cura sino al 1807. Venne dunque posta in cura al clero secolare assorbendo pure il titolo parrocchiale di San Bartolomeo. La Parrocchia di San Salvador oggi fa parte della Comunità Marciana, l'unione delle parrocchie del Centro di Venezia che comprende San Moisé, San Zaccaria, la Rettoria di San Zulian.

Nella chiesa sin dal 1267 si venerano le reliquie di San Teodoro, primo protettore di Venezia. La storia della chiesa si lega indissolibimente a quella della Scuola Grande di San Teodoro.

Tra le numerose sepolture presenti nell'edificio spiccano quelle di Caterina Cornaro, dei dogi Lorenzo Priuli, Girolamo Piuli, Francesco Venier. Sono sepolti in oltre i fratelli cardinali Marco Corner e Francesco Corner e Bernardo Bembo (tomba dispersa).

Collegato alla chiesa esiste tutt'oggi il grande complesso del Convento dei Canonici di San Salvador.


Cima da Conegliano, Incredulità di San Tommaso, San Magno (particolare). Secondo la tradizione fondò la chiesa di San Salvador

La chiesa è da annoverare tra i più antichi luoghi di culto della città e, come per le altre antiche chiese veneziane, ha origini che si perdono tra mito e leggenda: la tradizione la vorrebbe fondata nel 638 da san Magno, nativo di Altino e vescovo di Oderzo, con l'appoggio delle famiglie Carosio e Gattaloso. La cronaca altinate tramanda i nomi dei fondatori Kavanaricus Caverlarenus e del fratello Noele, parte del novero dei iudices padovani di stanza a Venezia, antichi discendenti di casa Noeli, attestata a partire dal XI secolo. Certamente il luogo di culto ebbe origine nell'Alto Medioevo, dove avrebbe assunto le prerogative di pieve aumentando di prestigio solo dopo il XII secolo. Nel 1078 è attestato il il primo pievano, mentre nell'anno 1141 grazie all'iniziativa del pievano Bonfilio Zusto, la chiesa veniva trasformata da parrocchiale a collegiata riformata, pervenendo a un gruppo di canonici votati alla regola di Sant'Agostino.

I canonici agostiniani

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Sin dall'inizio incorse in una serie di dispute con il vescovo di Castello e le parrocchie vicine, ma vennero presto superate grazie al riconoscimento di papa Innocenzo II che nello stesso 1141 concedeva alla comunità la protezione apostolica, il diritto all'elezione del proprio priore e le decime che già spettavano alla vecchia parrocchia. Forte di queste prerogative, negli anni successivi San Salvador tentò a sua volta di espandere i propri confini a discapito delle pievi contermini, in particolare San Bartolomeo. Solo nel 1299 le liti tra le due parti furono risolte grazie a un accordo che ridefiniva i limiti dei rispettivi territori e la partizione delle decime (raccolte dai Procuratori di San Marco e da questi suddivisi alle due parrocchie). Tra il Trecento e il Quattrocento la spinta riformistica che aveva animato i secoli precedenti venne meno e la comunità attraversò un periodo di decadenza spirituale e materiale. Nel 1441, tuttavia, grazie all'interessamento di papa Eugenio IV (il veneziano Gabriele Condulmer) la comunità venne rinnovata con l'insediamento dei canonici regolari della Congregazione del Santissimo Salvatore lateranense.

La chiesa medievale

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Della chiesa primitiva non si hanno che informazioni vaghe, con un particolare riferimento ad un pavimento aperto da grate di ferro sotto cui attraverso «un passaggio sono condotte le acque». Si attestano lavori nel 1153, ma il 15 settembre 1167 un incendio danneggia l'edificio, lo stesso che, evidentemente restaurato, il 29 agosto 1177 consacrava papa Alessandro III. Nel 1184 si avvia la riedificazione della chiesa che nel 1204 risulta investita di privilegi di notevole importanza, come quelli concessi al suo priore quali l'utilizzo della mitria e del pastorale.

La chiesa assunse un aspetto a pianta basilicale, a tre navate, abside circolare e transetto. Quest'ultimo, alto quanto la navata centrale risultava accorciato al livello della larghezza delle navate minori, similmente al Duomo di Murano. Al centro della crociera, una cupola che nel 1365 venne coperta da un tiburio monumentale, come monumentale appariva la parte esterna dell'abside, mossa da profonde nicchie. La facciata, che si rivolgeva ad un campo ben più ampio dell'attuale, era caratterizzata da un ampio portico. Sul lato settentrionale, la porta alle Mercerie, esisteva probabilmente un protiro stretto dagli edifici che ancora affiancano la chiesa attuale. Proprio la presenza di fabbriche diverse ad attorniare una chiesa monumentale è quello che caratterizza il complesso nella più esaustiva rappresentazione della chiesa medievale, quella compiuta dal de' Barbari nella sua Veduta di Venezia.

La chiesa medievale vista da Jacopo de' Barbari nella sua celebre Veduta di Venezia.

Sopra il portico posto lungo la facciata della chiesa esisteva la sede della Scuola dei battuti dedicata a San Teodoro, ricostituita nel 1268 e responsabile, assieme ai canonici, del corpo, della cappella e della dignità del culto del santo di Amasea. In questo albergo della confraternita, riconosciuta poi Scuola Grande di San Teodoro, esisteva anche una imponente cucina, posta accanto alla facciata della chiesa, al piano terra, dove venivano preparate le pietanze da servire agli indigenti. L'altare della Scuola, con le reliquie celate dietro ad una grata dorata, si trovava nei pressi dell'ingresso, sulla destra rispetto all'altare maggiore. Il catino absidale era decorato a mosaico con la raffigurazione del Pantocratore, adorato dalla figura del committende della decorazione, il doge Marino Morosini. Il grande campanile, riferible al XII secolo, rimase incompiuto in altezza; ad oggi è l'unica struttura del complesso medievale che ancora sopravvive.

La nuova chiesa

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Il riaccendersi della devozione a San Teodoro, avviatosi dopo l'arrivo delle sue reliquie a Venezia, il riconoscimento da parte della Repubblica del ruolo soprannaturale che ebbe il Santo nella maturazione dello Stato – nel 1450 la festa venne elevata a solenne andata ducale – e la sempre più nutrita presenza di notabili e delle più alte cariche della Serenissima alle liturgie quotidiane celebrate in chiesa – divenuta una sorta altra San Marco – furono tra i motivi che spinsero a ragionare sulla riedificazione dell'edificio, al principio del XVI secolo. Il primo fautore del rinnovamento del complesso fu il Priore Antonio Contarini che, anche se eletto Patriarca nel 1508, fino alla morte si promulgò per il rifacimento della chiesa che vedeva come sorta di specchio di un rinnovamento dello spirito della canonica agostiniana. Sebbene un folto gruppo di cittadini si dimostrò contrario all'abbattimento del vecchio tempio a pianta basilicale, ritenuto lo stesso che costruì san Magno, nel 1506 si decise per una completa ricostruzione con la diretta partecipazione finanziaria della Repubblica, ciò anche grazie alle insistenze presso il Consiglio dei Dieci di figure come Giorgio Emo e Bernardo Bembo. A tracciare il progetto della nuova chiesa fu il proto di San Marco Giorgio Spavento. Demolito il vecchio tempio a tre navate nei primi mesi del 1507, il 25 marzo dello stesso anno venne calata la prima pietra; la costruzione partì dal presbiterio. Si occupò il sedime della vecchia chiesa con un edificio elevato dal suolo, ben più ampio del precedente tanto che le navate occuparono gran parte del vecchio portico e del campo. La costruzione proseguì a rilento: lo Spavento, caduto malato, fu affiancato quasi subito da Pietro e Tullio Lombardo, quest'ultimo prese le redini del cantiere alla morte dello Spavento, nel 1509. nel 1520 Antonio Contarini, nelle vesti di Patriarca, celebrava solennemente nel nuovo presbiterio, separato dal resto del cantiere da un muricciolo, spronando la prosecuzione dei lavori. Nel 1526 Giorgio Corner otteneva la concessione di occupare le testate del transetto con due monumenti da dedicare alla sorella, la regina Caterina, e al figlio, il cardinale Marco. Nel 1528 finalmente si potè abbattere il muro che separava il presbiterio dalle navate.

La chiesa venne aperta solennemente al culto il 16 ottobre 1530 con una cerimonia liturgica imponente e memorabile.

La fabbrica continuò a ricevere attenzioni anche dopo l'apertura: ai Lombardo subentrò Jacopo Sansovino, ma solo nel 1565 Vincenzo Scamozzi riuscì a risolvere la problematica data dall'oscurità aprendo le lanterne sul colmo delle cupole. Nel 1569 venne eretto in controfacciata un coro pensile, probabilmente composto in buona parte di legno e su progetto dello stesso Scamozzi. La facciata restò incompiuta sino al 1649 quando, grazie al lascito del mercante Jacopo Galli, si poté completare sul fastoso progetto di Giuseppe Sardi. La chiesa venne consacrata il Lunedì dell'Angelo del 1739, 30 marzo. Nel 1741 il coro pensile bruciò e seguì un restauro che portò alla sua completa eliminazione e all'erezione dei primi due altari che si incontrano dalla porta maggiore.

Con l'avvento di Napoleone, nel 1807, anche la canonica di San Salvador fu soppressa. I suoi beni passarono al demanio e il monastero fu convertito in caserma, mentre la chiesa divenne parrocchiale sotto la giurisdizione del patriarcato di Venezia. Nel 1810 estese la giurisdizione sul territorio che era stato di San Bartolomeo[1].

Fatti recenti

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L'imponente edificio si inserisce tra fabbricati e le alte case d'abitazione che caratterizzano quest'area della città in maniera suggestiva, risultando però poco leggibile nel suo insieme. Risulta ben visibile l'abside dalle Mercerie, mosso da arcate cieche binate, sormontato da un angelo di chiara origine medievale, probabimente già presente sulla cupola dell'antica San Salvador. Le cupole paiono coperte da tetti a falda e mosse solo dalle esili lanterne. Il fianco che dà alle Mercerie mostra la testata del transetto, mentre tra le fabbriche di abitazione, già anticamente pertinenti alla chiesa, è aperto un voltone che permette una scalinata che conduce al portale laterale cinquecentesco. Il volto mostra cospicue tracce di decorazione ad affresco solitamente indicati all'ambito tizianesco. Compare San Teodoro che uccide il drago, e una confermazione dei privilegi dei canonici data per mano papale. Sul soffitto una sbiadita Trasfigurazione, episodio evangelico cui si rimanda il titolo della chiesa.

Il Cristo Risorto e benedicente posto al vertice della facciata.

La facciata è frutto del lascito testamentario di 50.000 ducati che Giacomo Galli, nel 1663, permise il definitivo completamento della chiesa. La facciata venne alzata su progetto di Giuseppe Sardi in bianca pietra d'Istria. Presenta la suddivisione verticale in due ordini e una tripartizione orizzontale con la parte centrale più ampia delle altre. L'ordine inferiore imposta le quattro possenti colonne di ordine composito su alti plinti. Contribuiscono a sottolineare la monumentalità delle semicolonne le coppie di lesene che le affiancano che, in minor rilievo, le affiancano. Dei festoni e delle protomi leonine ornano la cornice all'altezza dei capitelli sotto una trabeazione conclusa da una dentellatura che sostiene l'ultima modanatura fortemente aggettante. Il portale segue la monumentalità della facciata, con un timpano triangolare che si imposta sulla trabeazione sostenuta da due semicolonne affiancate, questa volta solo verso l'esterno, da lesene leggermente accennate. Le ali laterali sono aperte da finestre rettangolari timpanate sopra cui sono collocate delle lapidi commemorative. L'ordine superiore riprende con meno rilievo l'armonia dell'inferiore. In corrispondenza delle quattro semicolonne sottostanti sono collocate quattro statue allegoriche delle virtù; sopra ciascuna è inserita nel semipilastro la testa di putto che sostiene un inconsueto modiglione raccordato alla dentellatura soprastante. Al centro troviamo una finestra definita da due archi concentrici impostati su quattro pilastri di chiara derivazione palladiana. Il timpano sommitale interessa solo la parte centrale, mentre cinque statue, santi ai lati e il Salvatore all'apice del timpano, sono distribuite su tutta la larghezza. Sia le statue sommitali che quelle sopra le semicolonne sono attribuibili a Bernardo Falconi[2].

Le incisioni del Carlevarijs e del Visentini documentano la presenza di ulteriore statue decorative, figure giacenti lungo i timpani e due putti eretti sopra le semicolonne del portale.

La palla di cannone in facciata.

Sul lato sinistro della facciata, alla base della prima colonna, si può notare incastrata nel muro una palla di cannone. La chiesa infatti fu colpita nell'assedio del 1849 durante uno dei tanti bombardamenti che le truppe austriache inflissero dal forte Marghera alla città, autoproclamatasi repubblica indipendente sotto la guida di Daniele Manin. Il proiettile si conficcò nel punto dove ancora oggi è visibile, senza arrecare ulteriori danni alla struttura. Un'incisione sopra la palla di cannone rievoca l'episodio.

L'interno segue la tripartizione orizzontale della facciata, con tre cupole dello stesso diametro impostate lungo l'asse longitudinale della chiesa. Le cupole seguono uno schema a quinconce, detto anche a quincunx. Ogni cupola prevede quattro cupole minori poste ai vertici del quadrato sul quale poggia il perimetro di imposta delle cupole principali. Queste ultime hanno in comune le cupole interne della pianta, raggiungendo così il numero di otto cupole minori poste nelle navate laterali della chiesa. Lo schema a quincunx è legato all'architettura bizantina e conseguentemente alle origini dell'architettura veneziana: altri esempi veneziani di questa disposizione sono la Chiesa di San Giovanni Grisostomo e la Chiesa di San Nicolò di Castello (distrutta con le soppressioni napoleoniche del 1810)[3]. Questo schema viene completato da un transetto e da tre absidi semicircolari, di cui una, la maggiore, completa la navata centrale. Ogni altare minore risulta coperto da un modulo a tre arcate che sostengono una cupola, come fossero coperti ognuno da un piccolo ciborio.

Gli archi che sostengono le cupole sono impostati su un totale di sedici pilastri di ordine composito, otto per parte, che dividono la chiesa in tre navate. Le paraste del registro maggiore si concludono in splendidi capitelli, riferibili all'opera di Tullio Lombardo e terminanti in fiori diversi: volti, maschere e leoni marciani andanti e in moeca.

Il magnifico pavimento, con la sfericità delle cupole maggiori priettata in splendide tarsie marmoree, è probabile frutto di diversi interventi iniziati a partire dal XVI secolo e conclusi nel secolo successivo, contando poi il ripristino eseguito a seguito dell'incendio del coro. Lo spazio è disseminato di lapidi sepolcrali, numerose infatti sono le camere sepolcrali presenti sotto l'edificio. In alcuni punti sono visibili lastre tombali di recupero.

Altare Maggiore e coro

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Il presbiterio, poco ampio, si caratterizza per il prezioso pavimento, la conca absidale in pietra aperta da due lunghe monofore e mossa, sopra la cornice marcapiano, da quattro aperture più basse ad illuminare la macchina d'altare. Dietro all'altare spicca il grande stemma di papa Paolo II.

Compiuto entro il 1534 è straordinaria opera di Gugliemo dei Grigi che coronò il fastigio superiore con uno splendido Cristo Risorto a grandezza naturale, che regge il vessillo della Resurrezione. La statua è immersa nella luce che penetra dal cleristorio superiore, scelta oculata dell'artista. Nel complesso tratta di un'opera di notevole eleganza, giocata sul sapiente utilizzo delle cromie dei marmi e delle raffinate decorazioni, in parte riprese da doratura. Un linguaggio del tutto personale, che sposa la tradizione tardoquattrocentesco veneto con la severità classicista del secondo e terzo decennio del Cinquecento. La magnifica mensa è affincata dalle mensole su cui venivano posti i candelieri, a rispetto della tradizione veneto-bizantina che dà piena visione della pala perché carica di sacralità, propria delle icone.

La pala della Tasfigurazione
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Le mensole permettono di disporre i candelieri ai lati e di visionare l'imponente opera che Tiziano Vecellio consegnò intorno al 1560. La tela è una copertura dell'opera orafa fatta d'argento dorato e preziose decorazioni.

La pala d'argento
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Viene ostesa in alcune particolari occasioni, come a Natale e a Pasqua e sino alla festa della Trasfigurazione.

Parte sinistra (dal presbiterio)

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Cappella del Santissimo Sacramento
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Altare della Santa Famiglia
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Munumento Corner e battistero
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Altare di San Carlo Borromeo
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Altare di Sant'Antonio Abate
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Porta e organo
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Altare di San Girolamo
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Monumento Priuli
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Altare dei Santi Nicola e Leonardo
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Parte destra (dal presbiterio)

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Cappella di San Teodoro
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Altare dei Santi Leonardo, Andrea, Nicola e Lorenzo Giustiniani
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Monumento a Caterina Cornaro
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Altare di San Lorenzo Martire e dei santi Maddalena, Giacomo e Francesco di Sales
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Altare della Vergine Annunciata
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Monumento del doge Francesco Venier
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Altare della Beata Vergine del Rosario
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Monumento Dolfin
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Altare dei morti
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  1. ^ Parrocchia del Santissimo Salvatore, Venezia, su siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. URL consultato il 16 luglio 2014.
  2. ^ Lorenzetti, p. 388.
  3. ^ Tafuri 1985, p. 47.
  • Elena Bassi, Architettura del Sei e Settecento a Venezia, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1962.
  • Giulio Lorenzetti, Venezia e il suo estuario, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1963.
  • Umberto Franzoi e Dina Di Stefano, Le chiese di Venezia, Venezia, Alfieri, 1976.
  • Manfredo Tafuri, Venezia e il Rinascimento - Religione, scienza, architettura, Torino, Einaudi, 1985.
  • Norbert Huse e Wolfgang Wolters, Venezia l'arte del Rinascimento : Architettura, scultura, pittura 1460-1590, Venezia, Arsenale, 1986.
  • Ennio Concina, Storia dell'architettura di Venezia dal 7º al 20º secolo, Milano, Electa, 1995.
  • Andrea Guerra, Manuela M. Morresi e Richard Schofield (a cura di), I Lombardo: architettura e scuItura a Venezia tra '400 e '500, Venezia, Marsilio, 2006.
  • Augusto Roca de Amicis (a cura di), Storia dell'architettura nel Veneto – Il Seicento, Venezia, Marsilio, 2008.
  • Andrea Savio e Gianmario Guidarelli, Venezia, in Donata Battilotti, Guido Beltramini, Edoardo Demo e Walter Panciera (a cura di), Storia dell'architettura nel Veneto - Il Cinquecento, Venezia, Marsilio, 2016.

Voci correlate

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Altri progetti

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Collegamenti esterni

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