Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua

Discorso intorno alla nostra lingua
Ritratto di Machiavelli presso la Galleria degli Uffizi a Firenze
AutoreNiccolò Machiavelli
1ª ed. originale1525
Generedialogo
Lingua originaleitaliano

Il Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua è un'opera di Niccolò Machiavelli composta, secondo gli studiosi, nel 1524 o 1525. Di non sicura[1] attribuzione (è attribuita al Machiavelli in base alla testimonianza del figlio Bernardo), anche per la diversità delle forme lessicali adoperate e per una tematica secondo alcuni studiosi estranea all'autore, è sospetta di essere successiva alla data di redazione attribuita al Machiavelli o comunque frutto di una manipolazione a partire da una matrice sicuramente attribuibile alla paternità dello scrittore.[2]

Nella discussione si confrontavano la posizione, sostenuta da Baldassarre Castiglione, della lingua cortigiana, e quella, sostenuta da Pietro Bembo, del modello letterario trecentesco (rappresentato specialmente da Petrarca e Boccaccio).

Secondo Machiavelli, invece, la lingua da preferirsi è il fiorentino contemporaneo, come idioma per natura superiore a tutti gli altri, rivendicando le origini fiorentine del volgare italiano. Del resto - egli argomenta - Dante nel suo poema non usò una lingua "illustre" con caratteri sovraregionali (come Dante stesso aveva teorizzato nel De vulgari eloquentia), bensì il fiorentino parlato del suo tempo.

Machiavelli dà un giudizio severo su Dante Alighieri, col quale inscena un dialogo nell'opera. Dante è rimproverato di negare la matrice fiorentina della lingua della Commedia. Il passo assume i caratteri dell'invettiva contro il poeta concittadino, accusato di aver infangato la reputazione di Firenze:

«[...] Dante il quale in ogni parte mostrò d'esser per ingegno, per dottrina et per giuditio huomo eccellente, eccetto che dove egli hebbe a ragionare della patria sua, la quale, fuori d'ogni humanità et filosofico instituto, perseguitò con ogni spetie d'ingiuria. E non potendo altro fare che infamarla, accusò quella d'ogni vitio, dannò gli uomini, biasimò il sito, disse male de' costumi et delle leggi di lei; et questo fece non solo in una parte de la sua cantica, ma in tutta, et diversamente et in diversi modi: tanto l'offese l'ingiuria dell'exilio, tanta vendetta ne desiderava! [...] Ma la Fortuna, per farlo mendace et per ricoprire con la gloria sua la calunnia falsa di quello, l'ha continuamente prosperata et fatta celebre per tutte le province cristiane, et condotta al presente in tanta felicità et sì tranquillo stato, che se Dante la vedessi, o egli accuserebbe sé stesso, o ripercosso dai colpi di quella sua innata invidia, vorrebbe essendo risuscitato di nuovo morire.»

Pubblicazione

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Non fu pubblicato, ma circolò in forma manoscritta negli ambienti letterari impegnati nella discussione sulla lingua (la questione della lingua). L'opera fu pubblicata solo nel 1730, come appendice all'Ercolano di Benedetto Varchi.

In epoca recente, oltre a Tutte le opere, a cura di M. Martelli, per Sansoni, del 1971, si ricordano un'edizione a cura di Ornella Castellani Pollidori (Firenze, Olschki, 1978) ed una a cura di Paolo Trovato (Padova, Antenore, 1982; rist. libreriauniversitaria.it Edizioni 2015).

  1. ^ Simone Bionda, Il 'nodo' del 'Dialogo della lingua' attribuito a Niccolò Machiavelli, Interpres : rivista di studi quattrocenteschi. Volume 28, 2009 (Roma: Salerno, 2009).
  2. ^ Machiavelli Niccolò, Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua | Biblioteca Italiana Zanichelli | Zanichelli Dizionari più

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