Distinzione mosaica

La distinzione mosaica è una teoria di Jan Assmann relativa alla storia dell'ebraismo. La teoria cerca di spiegare come sia comparsa l'alternativa vero o falso, senza vie di mezzo, nella cultura e nelle religioni indoeuropee.

Secondo questa teoria il primo monoteismo è stato inventato dal faraone Akhenaton (originariamente chiamato) Amenofi IV, o Amenhotep IV). Visto il netto contrasto tra il monoteismo e le credenze di quei tempi, l'imposizione del monoteismo è stata definita come «il più radicale e violento manifestarsi di una contro-religione nella storia dell'umanità». Quindi fin dalla nascita il monoteismo sembra accompagnarsi all'Integralismo religioso. Gli studiosi perderanno traccia di questi fatti fino a riscoprirli nel XIX secolo.

Il termine distinzione mosaica deriva dal fatto che, secondo questa teoria, l'idea monoteista ed integralista venga ripresa da Mosè.

L'autore di questa teoria afferma anche che i monoteismi successivi abbiano tutti ereditato una componente integralista. Un critico della teoria, Joseph Ratzinger, afferma che anche ideologie di tipo diverso da quello religioso, tra cui il marxismo, hanno avuto la loro componente integralista.

Distinzione tra vero e falso nei politeismi

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Se è inevitabile che ogni formazione di identità proceda di pari passo con la costruzione di alterità/estraneità, per Assmann è un grave errore ritenere che la distinzione tra vero e falso in ambito religioso sia antica quanto le religioni stesse. Mentre al loro interno sviluppano coerenza e identità, culture e civiltà, entrando in rapporto con culture e civiltà circostanti, non producono solo contrapposizioni, ma anche «tecniche di traduzione» che costituiscono tentativi di rendere più permeabili le frontiere stabilite dalle differenze culturali.

Alle religioni politeistiche basate sulla distinzione tra sacro e profano, puro e impuro era totalmente estranea la concezione di divinità false e fittizie. Gli dèi dei vari popoli adempivano a funzioni sostanzialmente analoghe e, frutto di culture già altamente sviluppate, i politeismi pagani fungevano da tramiti di una possibile «traducibilità interculturale».

La transizione verso il monoteismo

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Prima di passare dal politeismo al monoteismo, esiste una forma intermedia che si chiama Enoteismo e nella quale viene affermata l'esistenza di un dio superiore agli altri dei.

Con l'affermarsi del monoteismo a comparire è invece una «contro-religione» che, in quanto presunta detentrice di una verità rivelata da Dio in persona, squalifica a idolatria tutte le religioni civiche politeistiche che l'hanno preceduta e le altre forme di religione a questa contemporanei. Da possibile mezzo di traducibilità interculturale la religione diventa un temibile fattore di estraniazione interculturale. Assmann concentra la sua attenzione su questo passaggio:

« Quando Mosè vide che il popolo era senza freno (e che Aaronne lo aveva lasciato sfrenare esponendolo all'obbrobrio dei suoi nemici), si fermò all'ingresso dell'accampamento e disse: «Chiunque è per l'Eterno, venga a me!». E tutti i figli di Levi si radunarono vicino a lui. Ed egli disse loro: «Così dice l'Eterno, il DIO d'Israele: "Ognuno di voi si metta la spada al fianco; passate e ripassate da un'entrata all'altra dell'accampamento, e ciascuno uccida il fratello, ciascuno l'amico, ciascuno il vicino!"». I figli di Levi fecero come aveva detto Mosè, e in quel giorno caddero circa tremila uomini. »   ( Esodo 32:25-28, su laparola.net.)

Secondo l'autore, questo passaggio rappresenta il mito di fondazione della religione monoteistica e, al contempo, il ritratto permanente dei suoi effetti.

Mosè incarna la «figura simbolica di una svolta radicale nella storia dell'umanità»: il monoteismo esclusivista, esigendo l'adorazione di un unico Dio in quanto unico vero Dio, demonizza tutti gli altri dèi ridotti a menzogna e impostura.

Implicazioni politiche

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Secondo questa teoria esiste un preciso nesso tra la distinzione tra vero e falso in ambito religioso e quella tra amico e nemico in ambito politico (vedi Carl Schmitt). Se la distinzione tra amico e nemico è alla base di una politica della violenza, la lotta al culto degli idoli svolta dal monoteismo risulta fondare una teologia politica della violenza. La Scrittura reca ampie testimonianze di come il monoteismo si sia imposto con il ricorso alla forza e a colpi di massacri. Con i loro resoconti di guerra, assassinii, stragi e tradimenti i libri di Giosuè e dei Giudici appartengono a quanto di più rozzo abbia da offrire il «Grande Codice» (la denominazione attribuita alla Bibbia dal critico letterario Northrop Frye) redatto per divina ispirazione.

Sappiamo che la terra promessa degli Ebrei è la terra in cui scorre il latte ed il miele:

« Così sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani e per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese dove scorre latte e miele, nel luogo dove sono i Cananei, gli Hittei, gli Amorei, i Perezei, gli Hivvei e i Gebusei. »   ( Esodo 3:8, su laparola.net.)

La terra promessa viene conquistata, ma nella misura in cui ciò accade a scorrere è il sangue anziché latte e miele.

Assmann tuttavia precisa:

«[...] anche se la violenza della semantica biblica è assolutamente inespungibile, altrettanto univoca è la constatazione storica che, delle tre religioni abrahamiche che a tale semantica si richiamano, solo i cristiani e i musulmani, e mai gli ebrei, hanno tradotto in atto tale violenza. [...]Nella storia dell’interpretazione solo gli ebrei hanno compreso come umanizzare questi testi in modo da renderli innocui. Essi hanno interiorizzato la distinzione amico/nemico. Il concetto di idolatria, divenendo la quintessenza del peccato, psicologizzandosi sempre più, ha finito con lo spoliticizzarsi.»

Il precursore: Erasmo da Rotterdam

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Analoga proposta, ai suoi tempi non accolta dalle classi dirigenti europee, aveva avanzato in campo cattolico Erasmo da Rotterdam nel suo Enchiridion Militis Christiani (1503). In questa opera veniva delineata una teologia cristiana non si facesse più ispirare dal «Signore degli eserciti» dell'antico testamento. Veniva quindi riformato profondamente un cristianesimo successivo a Costantino che nel primo Cinquecento vedeva un papa come Giulio II rivestito più spesso con l'elmo e l'armatura che non con i paramenti sacri.

«Il pugnale/manuale del soldato cristiano» erasmiano è impugnato da un «soldato di Cristo» più che mai convinto che la pace tra gli uomini sia indispensabile e la cui teologia politica non era in nessun modo una teologia politica della violenza. Né è un caso che il cammino da Erasmo insistentemente proposto – ripudiato, represso e sconfitto dalle classi dirigenti europee e dalle chiese confessionali del suo tempo – sia finalmente riemerso in Europa e persino in Italia, quando con l'enciclica «Pacem in Terris» (1963) e l'anno seguente con il simbolico abbandono della tiara da parte di papa Giovanni XXIII, anche nel mondo cattolico poté riacquistare cittadinanza l'opera erasmiana estromessa a forza fin dal ‘500.

In Erasmo, scrive lo storico della Chiesa Adriano Prosperi, censure e roghi vollero colpire

«l’idea stessa di una cultura che, attingendo alle fonti della sapienza antica e del patrimonio cristiano, insegnava a usare le parole con discernimento e poneva gli strumenti della ragione critica e di una mordace ma pacata ironia al servizio dell’autonomia morale dell’individuo.»

La teologia evangelica erasmiana era una teologia politica della pace, tale da ricondurre la «milizia cristiana» alla sua autentica funzione: l'individuale combattimento interiore volto a contrastare le quotidiane «insidie di Satana» che albergano tra le passioni e i vizi umani mirando, anziché al massacro di nemici esterni.

L'altro precursore: Kant

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La violenza e la guerra vengono viste come quel «male radicale nella natura umana» di cui parlerà, quasi tre secoli più tardi, l'altro grande pacifista e anticlericale europeo, Immanuel Kant.

La critica di Joseph Ratzinger

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Nel suo libro Glaube – Wahrheit – Toleranz: Das Christentum und die Weltreligionen, Joseph Ratzinger si concentra sul passo in cui Assmann cita la frase di Spinoza «Deus sive natura», cioè Dio e la Natura sono indistinguibili. Questo modo di pensare secondo Assmann rappresenta il superamento della distinzione mosaica. Portando come esempio il dialogo platonico Eutifrone, Ratzinger afferma che l'unità di Dio e Natura non rappresenta una riconciliazione universale, bensì il fatto che l'universo è inconciliabile. Così facendo l'essere in sé diventa contraddittorio, la guerra deriva dall'esistenza stessa, il bene ed il male sono infine indistinguibili.

Vengono citati gli esempi storici della Rivoluzione francese e del Marxismo come casi in cui si è accettato di sacrificare tante vite umane per arrivare alla conciliazione. Viene affermato che la dialettica del progresso richiede vittime sacrificali.

Il Papa Emerito afferma che persino il Buddhismo pone una questione di verità. Secondo lui, nel Buddhismo si arriva alla verità lasciando questo mondo, quindi attraverso la redenzione. Non si può parlare di Dio nella Natura neanche qui. Il mondo in sé è sofferenza, e quindi privo di verità, e solo la rimozione dal mondo porta alla salvezza.

Per concludere, nella visione del teologo contemporaneo, la questione della verità è inevitabile, tanto nelle filosofie e religioni occidentali, quanto in quelle orientali.[1]

Il commento di Graham Hammill

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Graham Hammill, dell'Università di Buffalo, nel suo libro The Mosaic Constitution: Political Theology and Imagination from Machiavelli to Milton scrive che Jan Assmann ha seguito i passi di Hume.

Il professore americano scrive che Assmann ha evidenziato sia elementi positivi che negativi nella distinzione mosaica.

Un elemento positivo è la separazione della religione dalla politica nelle figure dell'Esodo. Nell'abbandonare l'Egitto, gli Israeliti hanno abbandonato anche la teocrazia egiziana, un modello di governo in cui la religione è istituita nello stato ed il faraone è il mediatore tra il divino e l'umano.

Un elemento negativo è la violenza fisica, che unisce di nuovo religione e politica, facendo dell'idolatra e dell'eretico un nemico religioso che deve essere soppresso.

Mosé trasforma la divinità in un discorso molto mobile che mette in discussione tutte le istituzioni precedenti e contemporaneamente stabilisce forme di punizione e distruzione nei confronti delle pratiche eretiche.[2]

La precisazione di Tobias Gregory

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Il professore Tobias Gregory effettua delle precisazioni su quanto è scritto sopra. Le tradizioni ebraiche e cristiane ascrivono a Mosé la distinzione tra bene e male in quanto quest'ultimo è ritenuto essere l'autore del Pentateuco e perché il racconto dell'Esodo è destinato a diventare la narrativa archetipale delle differenze religiose nell'occidente monoteista. Infatti, tale distinzione non è ancora presente nel Pentateuco stesso.

Il primo comandamento di Yahveh non è un'affermazione di monoteismo, ma un'ingiunzione a passare dal politeismo all'Enoteismo, ovvero ad accettare un dio prominente su tutti gli altri.[3]

  1. ^ Joseph Ratzinger, Glaube – Wahrheit – Toleranz: Das Christentum und die Weltreligionen, Verlag Herder, 2003, ISBN 978-3-451-28110-5. URL consultato il 28 dicembre 2013.
  2. ^ Graham Hammill, The Mosaic Constitution: Political Theology and Imagination from Machiavelli to Milton, University of Chicago Press, 2012, ISBN 978-0-226-31542-3. URL consultato il 28 dicembre 2013.
  3. ^ Tobias Gregory, From Many Gods to One: Divine Action in Renaissance Epic, University of Chicago Press, 2006, ISBN 978-0-226-30755-8. URL consultato il 28 dicembre 2013.
  • Jan Assmann, Mosè l'egizio. Decifrazione di una traccia di memoria, Milano, Adelphi, 2000
    • La distinzione mosaica ovvero Il prezzo del monoteismo, Milano, Adelphi, 2011.
    • Verso l'unico dio. Da Ekhnaton a Mosè, Bologna, Il Mulino, 2018.
  • Sulla riscoperta della religione di Amarna cfr. E. Hornung, Akhenaton. La religione della luce nell'antico Egitto, Roma Salerno, 1998.
  • Joseph Ratzinger, Glaube, Wahrheit, Toleranz. Das Christentum und die Weltreligionen, Herder, Freiburg im Breisgau, 2003, pp. 170–208.
  • Erasmo da Rotterdam, Scritti religiosi e morali, Torino, Einaudi, 2004.
  • introduzione di A. Prosperi, Sulla presenza di Erasmo in Italia cfr. S. Seidel Menchi, Erasmo in Italia 1520-1580.Torino, Boringhieri, 1987.
  • sulla presenza di Erasmo in Spagna M. Bataillon, Erasme et l'Espagne, Genève, Droz, 1991.

Voci correlate

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