Leone Pancaldo (cacciatorpediniere)
Leone Pancaldo | |
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Il Pancaldo fotografato nel 1938 | |
Descrizione generale | |
Tipo | esploratore (1929-1938) cacciatorpediniere (1938-1943) |
Classe | Navigatori |
In servizio con | Regia Marina |
Identificazione | PN |
Costruttori | CNR, Riva Trigoso |
Impostazione | 7 luglio 1927 |
Varo | 5 febbraio 1929 |
Entrata in servizio | 30 novembre 1929 |
Intitolazione | Leon Pancaldo, navigatore italiano |
Destino finale | affondato da attacco aereo il 30 aprile 1943 |
Caratteristiche generali | |
Dislocamento | standard 2125 t in carico normale 2760 t pieno carico 2880 t |
Lunghezza | 107 m |
Larghezza | 11,5 m |
Pescaggio | 4,5 m |
Propulsione | 4 caldaie Odero 2 gruppi di turbine a vapore Parsons su 2 assi potenza 55.000 hp |
Velocità | 38 (poi ridotta a 28) nodi |
Autonomia | 3.100 mn a 15 nodi 800 mn a 36 |
Equipaggio | 15 ufficiali, 215 tra sottufficiali e marinai |
Equipaggiamento | |
Sensori di bordo | (da dicembre 1942) |
Armamento | |
Armamento |
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Note | |
Motto | D'aquila penne, ugne di leonessa |
dati presi principalmente da [1], [2] e [3] | |
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Il Leone Pancaldo è stato un esploratore e successivamente un cacciatorpediniere della Regia Marina.
Storia
[modifica | modifica wikitesto]Nome e motto
[modifica | modifica wikitesto]Il Pancaldo prese nome dal navigatore ligure Leon Pancaldo, nato a Savona nel 1488 e componente della spedizione di Magellano intorno al mondo. Il Pancaldo a tutt'oggi è l'unica unità della Marina Italiana ad aver portato il nome di un savonese.
Il motto della nave, D'aquila penne, ugne di leonessa è tratto da L'ultima canzone (da Merope, 1912) di Gabriele D'Annunzio.
Gli anni Trenta
[modifica | modifica wikitesto]Il Pancaldo fu la seconda unità della classe ad entrare in servizio nel novembre del 1929 come esploratore leggero, subendo poco dopo (maggio-settembre 1930) il primo importante ciclo di modifiche per il miglioramento della stabilità (alleggerimento e abbassamento delle sovrastrutture). Furono anche sostituiti timone e tubi lanciasiluri[1].
Nel dicembre 1930 fu impiegato a supporto della crociera aerea transatlantica Italia-Brasile di Italo Balbo[2].
Fu poi impiegato in Mediterraneo durante gli anni trenta[2].
Tra il 1936 ed il 1938 prese parte alla guerra di Spagna.
Nel 1938 fu riclassificato cacciatorpediniere e assegnato alla XVI Squadriglia Cacciatorpediniere con base prima alla Spezia e poi a Taranto.
Dopo un breve periodo passato a Pola per addestramento equipaggi CREM, subì l'ultimo ciclo di modifiche nel periodo ottobre 1939 - gennaio 1940, subito prima dell'inizio della seconda guerra mondiale. I lavori, svolti presso i cantieri del Muggiano, ebbero termine il 13 gennaio 1940[3].
La seconda guerra mondiale
[modifica | modifica wikitesto]Allo scoppio del secondo conflitto mondiale il Pancaldo aveva base a Taranto, assegnato alla XIV Squadriglia Cacciatorpediniere, alle dipendenze della IX Divisione Corazzate della I Squadra. Comandava l'unità il capitano di fregata Luigi Merini dal 4 dicembre 1939[3].
Partecipò alla battaglia di Punta Stilo del 9 luglio 1940, facendo parte del gruppo di protezione e sostegno composto da V Divisione corazzate, IV e VIII Divisione incrociatori con altre quattro Squadriglie di cacciatorpediniere[4]. In realtà la XIV Squadriglia (Vivaldi, Da Noli e Pancaldo) era stata inizialmente lasciata in porto di riserva a Taranto ma, mentre l'operazione in corso si trasformava da scorta convogli a scontro con la Mediterranean Fleet, tre cacciatorpediniere andarono in avaria e l'ammiraglio Inigo Campioni, comandante la flotta italiana, decise di far muovere anche Vivaldi, Da Noli e Pancaldo a rinforzo del gruppo, in sostituzione delle tre unità guaste[4]; la partenza della XIV Squadriglia da Taranto avvenne alle 6.18 del 9 luglio[5]. Lo scontro per la XIV Squadriglia (ridotta peraltro ai soli Vivaldi e Pancaldo per avaria del Da Noli) si risolse in un nulla di fatto: furono gli ultimi cacciatorpediniere italiani ad attaccare e quando lo fecero, alle 16.28, il comandante della squadriglia decise di rinunciare all'attacco col siluro in quanto le unità nemiche (in quel momento ancora a 18.000 metri di distanza) si stavano allontanando[4].
Rientrato nella base di Augusta insieme al Vivaldi, vi fece rifornimento il 10 luglio, ormeggiandosi poi alla boa A 4 (al centro della rada di Augusta) verso le otto di sera di quel giorno[3].
Alle 21.20 dello stesso giorno tre aerosiluranti Fairey Swordfish dell'813° Squadron, decollati dalla portaerei Eagle, attaccarono la base siciliana[3]. Due dei velivoli diressero per attaccare il Pancaldo, che però, anche avendoli avvistati alle 21.25, non reagì: erano infatti in volo, decollati dalla vicina Catania, anche degli aerei italiani diretti a bombardare Malta; non avendo la base lanciato alcun segnale d'allarme, ed avendo gli Swordfish le luci di navigazione accese, si pensò che si trattasse dei velivoli italiani[3]. Il primo aereo sganciò il siluro ma mancò il bersaglio: l'arma transitò a poppa del Pancaldo ed esplose contro la riva, circa mezzo minuto dopo l'avvistamento[3]. A questo punto l'equipaggio del cacciatorpediniere accorse ai posti di combattimento ed aprì il fuoco con le mitragliere, ma subito dopo il siluro del secondo aereo andò a segno a prua, sul lato di dritta: il Pancaldo sbandò sulla sinistra, si appruò ed iniziò ad affondare[3]. Mentre il personale di macchina scaricava il vapore nell'aria ed i mitraglieri continuavano a sparare (cessarono il fuoco solo quando l'acqua allagò le loro postazioni), il resto dell'equipaggio mise a mare scialuppe e zatterini e liberò un portello del sottocastello, deformato dallo scoppio, per permettere agli uomini rimasti intrappolati di uscire[3]. Mentre la nave affondava sempre più rapidamente gli uomini si radunarono a poppa e si tuffarono quindi in mare: il Pancaldo si posò sul fondale alle 21.39[3]. I naufraghi furono recuperati in un'ora e mezza, mentre la ricerca dei cadaveri continuò sino al mattino seguente[3]. Dell'equipaggio del Pancaldo, 16 uomini risultarono morti e 9 feriti[3][6].
I lavori di recupero della nave furono molto lunghi e laboriosi: solo il 26 luglio 1941 i palombari dell'Ufficio Porto e dell'officina lavori di Augusta poterono riportare in superficie il Pancaldo[3]. Il 1º agosto il relitto fu trainato in bacino di carenaggio dove fu riparato in modo da poter galleggiare[3]. Il 27 ottobre 1941 la nave poté essere trainata ai cantieri Ansaldo di Genova dove rimase sino al 17 novembre 1942, quando poté lasciare il cantiere; dopo essere stato trasferito all'Arsenale di La Spezia, ove imbarcò un radar Ec3/ter «Gufo» ed un ecogoniometro, il Pancaldo ritornò in servizio (in seno alla XV Squadriglia Cacciatorpediniere, che aveva base a Trapani) solo il 12 dicembre 1942, a quasi due anni e mezzo dal siluramento[3]. Altre modifiche apportate durante i lavori, oltre all'installazione di radar ed ecogoniometro, furono la sostituzione del complesso lanciasiluri poppiero con 2 mitragliere da 37 mm e quella delle otto mitragliere da 13,2 mm con 9 da 20 mm[1].
Il Pancaldo tornò comunque completamente operativo solo nel marzo 1943, quando iniziò ad essere impiegato in missioni di scorta convogli e trasporto truppe sulla tormentata rotta Trapani-Tunisi: rimase in servizio per un solo mese[2].
Il 30 aprile 1943, infatti, il Pancaldo (al comando del capitano di fregata Tommaso Ferrieri Caputi) partì per un'altra missione di trasporto truppe tedesche a Tunisi insieme al cacciatorpediniere tedesco Hermes[7]. Alle nove del mattino le due unità furono infruttuosamente attaccate da cinque aerosiluranti, alle dieci elusero indenni un attacco portato da 12 cacciabombardieri; alle 11.30 furono però assalite da 32 bombardieri[7]. Mentre l’Hermes, pur duramente colpito e con vittime a bordo, riuscì a raggiungere a rimorchio Biserta, il Pancaldo, con l'apparato motore distrutto da varie bombe e lo scafo perforato in più punti, s'inabissò a due miglia per 29° da Capo Bon[2][8] portando con sé oltre metà dell'equipaggio[7].
Scomparvero in mare 156 uomini, mentre altri 124 tra ufficiali, sottufficiali e marinai, tra cui il comandante Ferrieri Caputi, ferito, vennero tratti in salvo[7].
Nel corso della guerra il Pancaldo aveva svolto solo 13 missioni belliche per un totale di 6.732 nm e 396 ore di navigazione[2].
Comandanti
[modifica | modifica wikitesto]Capitano di fregata Luigi Merini (nato a Livorno il 15 marzo 1898) (4 dicembre 1939 - 16 luglio 1940)
Capitano di fregata Antonio Raffai (nato a Milano il 2 agosto 1902) (marzo - aprile 1943)
Capitano di fregata Tommaso Ferrieri Caputi (nato a Firenze il 12 marzo 1903) (aprile 1943)
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b c d e Trentoincina
- ^ a b c d e f g h i j k l m n Prosperini.
- ^ a b c Giorgio Giorgerini, La guerra italiana sul mare. La Marina tra vittoria e sconfitta, 1940-1943, Mondadori, 2002, p. 172 e ss., ISBN 978-88-04-50150-3.
- ^ Naval Events, 1-14 July 1940
- ^ Gianni Rocca, p. 28.
- ^ a b c d Gianni Rocca, pp. 276-277.
- ^ Le Operazioni Navali nel Mediterraneo Archiviato il 18 luglio 2003 in Internet Archive.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Franco Bargoni. Esploratori Italiani. Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1996
- Giuseppe Fioravanzo. La Marina Italiana nella Seconda Guerra Mondiale. Vol. IV: La Guerra nel Mediterraneo – Le azioni navali: dal 10 giugno 1940 al 31 marzo 1941. Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1959
- Giuseppe Fioravanzo. La Marina Italiana nella Seconda Guerra Mondiale. Vol. VIII: La Guerra nel Mediterraneo – La difesa del Traffico coll'Africa Settentrionale: dal 1º ottobre 1942 alla caduta della Tunisia. Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1964
- Franco Prosperini, 1940: l'estate degli Swordfish, in Storia Militare, n. 208, gennaio 2011.
- Gianni Rocca, Fucilate gli ammiragli. La tragedia della Marina italiana nella seconda guerra mondiale, Mondadori, 1987, ISBN 978-88-04-43392-7.
- Nicola Sarto, Gli esploratori - poi cacciatorpediniere - classe "Navigatori", in Marinai d'Italia, n. 12, 2007, pp. 17-32.
Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Leone Pancaldo
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- La pagina della nave sul sito ufficiale della Marina Militare Italiana, su marina.difesa.it.