Otto di Guardia e Balia
Gli Otto di Guardia e Balìa, o anche i Signori Otto, erano un'antica magistratura fiorentina che attendeva agli affari criminali e di polizia della Repubblica di Firenze prima e del granducato poi.
«Le cause criminali sono deputate a otto cittadini, li quali chiamano gli Otto di Balìa; il qual magistrato ebbe già autorità amplissima, benché di poi gli fosse levata e datogli solo la custodia della città, talmente che sino a poco tempo fa li otto di balìa si chiamavano, e così erano, gli Otto di contraguardia; ed era conceduto a detto magistrato di potere giudicare delle cause criminali, ma bisognava che in qualche caso gli ne fosse data la balìa dalla signoria. Da poi si è introdotta altra consuetudine, che infino ad ora si osserva; cioè che ogni duo mesi che entra la signoria, la prima spedizione e partito che fa è il concedere general balìa in tutti li casi criminali a questo magistrato degli otto; così che son giudici ordinarj nelle cause criminali. Ha ancora questo magistrato la cognizione di qualche causa civile, come è di tregua o pace rotta, e di tutte le cause degli ebrei nel dominio fiorentino. Dura questo ufficio mesi quattro, cioè ogni quattro mesi si mutano i detti otto di balìa, e sono delli supremi magistrati di Firenze, e precedono agli altri privati non solo in palazzo, ma ancora per la strada ed in qualunque luogo che si trovino.»
Storia
[modifica | modifica wikitesto]Già nel 1353 era stata data "balìa" a otto cittadini perché trovassero il modo di reprimere e punire gli episodi criminali, soprattutto quelli violenti, che avvenivano in città. Gli otto saggi stabilirono che si dovessero nominare quattro ufficiali di polizia ma forestieri, cioè che fossero originari di luoghi posti ad almeno quaranta miglia dalla città di Firenze, e affidare a ciascuno di loro un notaio e cinquanta famigli, sbirri, che in uniforme avrebbero dovuto pattugliare la città e piantonare le chiese per evitare che i rei vi si rifugiassero e chiedessero diritto d'asilo.
L'istituzione della magistratura degli "Otto di Balia" vera e propria avvenne nel 1376 quando Firenze era impegnata nella Guerra degli Otto Santi e l'ordine pubblico divenne una priorità assoluta. Gli Otto, con mandato giudiziario o "balìa", si riunivano in Santa Maria Novella insieme ad altri sedici consiglieri per discutere ed adottare ordinanze in tema di sicurezza ma non poterono nulla per evitare lo scoppio del tumulto dei Ciompi che travolse anche loro perché «troppo licenziosamente governandosi e volendo impor leggi alla Signoria, essendo Gonfaloniere Michele di Lando, non potendo patire tanta audacia, avendo comandato che uscissero di palagio, e non essendo ubbidito, due di essi fieramente con la spada percosse, e giù per la scala perseguitò e fece metter prigioni; e da Francesco di Chele rigattiere, che nel gonfalonierato successe fu tolta loro ogni autorità»[1].
Al loro posto, il 2 settembre 1378, furono ricostituiti non gli Otto di Balia ma gli "Otto di Guardia", con semplice mandato di polizia giudiziaria, che dovevano sorvegliare la città e il contado e prevenire che avvenissero nuove ruberie e nuovi disordini. Solo il 18 settembre del 1380, con Carlo di Durazzo che, in marcia su Napoli, si era fermato ad Arezzo, temendo che potesse allearsi con gli esuli ghibellini e attaccare Firenze, furono creati gli "Otto di Guardia e di Balia", riunendo in una istituzione sola tutta la gestione dell'ordine pubblico della Repubblica per renderne maggiore la rapidità d'intervento e poter gestire meglio l'emergenza. Rimasero tali anche dopo lo scampato pericolo. Da allora i magistrati degli Otto, tutti elettivi, restavano in carica quattro mesi e dovevano essere riconfermati al principio del terzo mese dalla nuova Signoria entrante.
Poi, nel corso del tempo, da semplici questori e prefetti, con l'abolizione dei tribunali delle Arti e di varie corti criminali minori, gli Otto furono incaricati non solo di reprimere ma anche di giudicare rei e reati divenendo dunque la più importante magistratura giudiziaria di Firenze.
Per questo, nonostante il declino delle istituzioni comunali e la rapida ascesa delle signorie, gli Otto di Balia e di Guardia furono una delle istituzioni della Repubblica che maggiormente si opposero al crescente assolutismo dei Medici, come conferma, anche se molto tra le righe per ovvie ragioni, Francesco Guicciardini.
«[Nel 1478] fu in Firenze un poco di disordine causato dagli Otto della Balia. [...] Come sa chi è pratico nella terra, se il timore di questo magistrato, che nasce dalla prontezza del trovare i delitti e giudicargli, non raffrenassi gli animi cattivi, a Firenze non si potrebbe vivere; e così come detto ufficio fu pienissimo circa alle cose criminali, gli fu proibito per espresso non potessi impacciarsi nel civile. Il quale ordine non si osservò interamente, perché a poco per spezialità di chi era nell'ufficio, e pe' mezzi e favori degli uomini che vi venivano, vi si cominciò a introdurre molti casi civili, chiamandogli, per qualche ragione indiretta, criminali; la qual cosa sendo molto transcorsa, parve a Lorenzo di correggerla, e però si fece una riforma che dichiarò e distinse molti casi, ne' quali gli Otto non potessino cognoscere. E perché la fu ordinata da Gismondo della Stufa, che allora si trovava degli Otto, fu chiamata la Gismondina; [...] gli Otto che si trovorono in questo tempo, non piacendo loro, un dì, subito, sanza conferirne o con magistrati o con chi governava la città, la stracciorono e arsono. La qual cosa parendo fussi un toccare lo Stato, avendolo fatto di loro propria autorità, massime ne' tempi che correvano, dispiacque a chi reggeva; e subito furono cassi dello ufficio, e fatti altri in loro scambio.»
Decadenza
[modifica | modifica wikitesto]Cosimo I, memore di quello che era successo sotto Lorenzo, nel 1532 ridusse la loro giurisdizione alla sola Firenze e rispettivo territorio, nonostante rimanessero di loro esclusiva competenza tutti i reati contro lo Stato e contro la famiglia Medici più gli affari ebraici. Mantenne altresì quella che ormai era diventata una farsa ovvero l'elettività dei magistrati ma volle che i loro nomi venissero estratti a sorte, dall'apposito ufficio della Segreteria delle Tratte [a sorte], tra i cittadini eleggibili cioè coloro che facevano parte del Senato dei Quarantotto e del Consiglio dei Duecento, tanto ormai questi fossili delle istituzioni repubblicane erano tutti saldamente controllati dai suoi partigiani. Naturalmente ogni nominativo richiedeva la sua approvazione. E ancora, per tenerli maggiormente sotto controllo, li trasferì al Bargello visto che ormai, sotto la sua signoria, del podestà non ce n'era più bisogno.
Ciononostante gli Otto davano ancora qualche segno di resistenza e allora il granduca nel 1558 li licenziò tutti e impose alcuni criteri per la nomina dei magistrati. Perché prima per entrare negli Otto, a parte l'età minima di 30 anni, non veniva richiesto nient'altro, neppure una rudimentale conoscenza giuridica o una elementare esperienza legale. Cosimo invece stabilì che i nuovi magistrati, pur potendo essere anche totalmente digiuni di giurisprudenza, dovevano però quantomeno essere uomini della massima fedeltà alla corona e dotati di una buona dose di servilismo e assenza di scrupoli[2]. E infatti emblematico, in questo senso, è il caso delle prime infornate dei nuovi Otto, primo tra tutti quello di Lorenzo Corboli.
Per questo, anche se più di due secoli dopo, nel 1777 Pietro Leopoldo li sciolse sostituendoli con un più giudiziariamente competente Supremo Tribunale di Giustizia, mentre i compiti di polizia vennero affidati ai Capitani di Parte Guelfa.
Lapidi
[modifica | modifica wikitesto]A Firenze, ma anche in altre città toscane, è facile trovare ancora lapidi con le varie delibere all'ordine pubblico dei Signori Otto, risalenti soprattutto al Sei e al Settecento. Vi si leggono numerosi divieti, soprattutto nei pressi di chiese e monasteri, dove vietavano rumori e giochi dei fanciulli per preservarne la quiete e il decoro.
Colpisce in queste lapidi innanzitutto la diffusione, che testimonia il notevole grado di alfabetizzazione della popolazione, e la severità delle pene "rigorose", che dovevano avere un carattere anche intimidatorio. Le pene erano quasi sempre subordinate a un impreciso "arbitrio dei magistrati", oppure erano specificate. Per infrazioni che oggi sembrerebbero minime, come gli schiamazzi o i giochi dei bambini, si rischiava, per chi non poteva pagare gli scudi della multa, la cattura o anche la tortura dei tratti di fune, che consisteva nel legare al malcapitato le mani dietro la schiena e poi di appenderlo per i polsi a una carruccola che lo issava per un certo numero di "tratti" provocando danni anche permanenti alle articolazioni delle braccia.
Tra le targhe fiorentine più curiose ci sono:
- quelle che vietano i giochi d'azzardo o i giochi "strepitosi" (rumorosi), come le "pallottole" (antesignano delle bocce), la "pilotta", la "ruzzola" o le "piastrelle" (in piazza del Giglio, in via dei Mori, nel vicolo dei Cavallari e presso la Badia fiorentina),
- quelle che vietano di suonare o cantare canzoni (chiasso delle Misure, chiasso del Bene, via dei Giacomini, via del Fiordaliso, ecc.)
- di usare per il bucato o per la pulizia dei calamai la fontana del Nettuno,
- di vendere "cocomeri" davanti a palazzo Strozzi (indicando quasi spazientitamente come fosse destinata a tale attività piazza Santa Maria Novella),
- di "vendere e tenere bestie" (via San Gallo),
- di orinare (San Lorenzo, via Sant'Orsola)
- quelle che vietavano il meretricio (via del Fico, via Guelfa): accanto alla chiesa di Ognissanti una targa del 1635 minaccia le donne "di malavita" che risiedano nella zona di vedere le proprie "robe buttate nella strada" e di ricevere uno sfratto di due anni).
Citazioni
[modifica | modifica wikitesto]Nel romanzo "La coscienza di Zeno" di Italo Svevo, il protagonista usa a mo' di proverbio l'espressione "gli Otto proibiscono di lordare" per criticare il rivale in amore Guido Speier, reo di aver interpretato troppo liberamente un componimento di Bach con il suo violino.[3]
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Giovanni Battista Uccelli, Il Palazzo del potestà; illustrazione storica, Firenze, 1865, pagg. 103-104
- ^ John K. Brackett, Criminal Justice and Crime in Late Renaissance Florence, 1537-1609, Cambridge, England, New York, Cambridge University Press, 1992, pag. 13
- ^ Pagina:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930.djvu/177 - Wikisource, su it.wikisource.org. URL consultato il 1º ottobre 2022.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Eugenio Albèri, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, Serie II, Vol. I, Firenze, 1839
- Alfred von Reumont, Tavole cronologiche e sincrone della storia Fiorentina, Firenze, Viesseux, 1841
- Federigo Sclopis, Storia della legislazione italiana, Vol. II, Torino, 1863
- Giovanni Battista Uccelli, Il Palazzo del potestà; illustrazione storica, Firenze, 1865
- Elena Fasano Guarini, Potere e società negli stati regionali italiani fra '500 e '600, Bologna, Il mulino, 1978
- Roberto Ciabani, Le Leggi di pietra: bandi dei signori Otto di guardia e balia della città di Firenze, Firenze, Cantini edizioni d'arte, 1984
- Guidubaldo Guidi, Il governo della città-repubblica di Firenze del primo quattrocento, Firenze, Olschki, 1981
- Gli ordinamenti del Granducato di Toscana: in un testo settecentesco di Luigi Viviani a cura di Sergio Di Noto, Milano, A. Giuffre, 1984
- John K. Brackett, Criminal Justice and Crime in Late Renaissance Florence, 1537-1609, Cambridge, England, New York, Cambridge University Press, 1992
- Roberto G. Salvadori, Gli ebrei di Firenze: dalle origini ai giorni nostri, Firenze, Giuntina, 2000
- Giovanni Antonelli, La magistratura degli Otto di Guardia a Firenze, Archivio Storico Italiano, Volume 112, pp. 3-39, Leo S. Olschki, Firenze 1954
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