Repubblica partigiana della Valsesia

Repubblica della Valsesia
Repubblica della Valsesia – Bandiera
Repubblica della Valsesia - Stemma
Dati amministrativi
Lingue ufficialiitaliano
Lingue parlateValsesiano, Ossolano, Insubre, Piemontese
InnoValsesia! Valsesia!
CapitaleVarallo
Dipendente daCLNAI "Delegazione Lombardia"
Politica
Forma di Statorepubblica partigiana
Forma di governozona militare sotto commissario di guerra
Nascita11 giugno 1944 con Cino Moscatelli
Fine10 luglio 1944 con Cino Moscatelli
Territorio e popolazione
Bacino geograficoItalia settentrionale
Territorio originaleValsesia
Popolazione60.000 persone + 20.000 sfollati nel 1944
Economia
ValutaLira italiana Am-lira
Religione e società
Religioni preminentiCattolicesimo
Evoluzione storica
Preceduto daItalia (bandiera) Repubblica Sociale Italiana
Succeduto da Regno d'Italia

La Repubblica della Valsesia fu la seconda repubblica partigiana sorta nel Nord Italia. Venne proclamata l'11 giugno 1944 e durò fino al 10 luglio 1944, giorno in cui si conclusero le operazioni di riconquista nazifascista della zona. Pur con le dovute considerazioni, dato il rapido evolversi della situazione, alcune fonti ne prolungano la durata al 25 aprile 1945[1][2].

Assieme a Montefiorino, Pietro Secchia la considerò precorritrice delle «scuole di democrazia effettiva che nasceva nel fuoco della lotta» che sarebbero poi state le zone libere/repubbliche partigiane[3].

Il territorio

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Il territorio liberato comprendeva tutta le valli del fiume Sesia, da Alagna Valsesia ai piedi del Monte Rosa fino a Romagnano Sesia/Gattinara; la Val Grande da Alagna Valsesia a Varallo, la bassa valle fino a Serravalle Sesia, la Morenica fino a Romagnano Sesia/Gattinara e le tre valli laterali: Val Sermenza, Val Mastallone e Val Sessera. Confinava con il Biellese, la Valle del Lys, la Valle Anzasca, il Novarese e il Vercellese[4].

Primo appello della resistenza in Valsesia del 12 settembre 1943

«La Resistenza in Valsesia ebbe inizio la sera stessa dell'armistizio quando, con a capo il primo cittadino, Cav. Osella, si era formato a Varallo il Comitato Valsesiano di Resistenza (ne facevano parte anche l'avv. Barbano, Peter Grober, Ezio Grassi e l'avv. Balossino) [...] l'11 settembre il Comitato nominava Cino Moscatelli, da tempo presente nell'organizzazione clandestina del PCI, e 'Ciro' (Eraldo Gastone) al comando dell'organizzazione militare della Valsesia; incaricandoli di sovraintendere ai primi centri di raccolta subito formatisi in alcune località della valle: alle Piane, a Campertogno, al Briasco e a Camasco

Dopo oltre sei mesi di occupazione della Valsesia, nel giugno 1944 il 63º Battaglione (reparto fascista specializzato nell'antiguerriglia, in seguito ribattezzato Legione "Tagliamento") fu destinato alla difesa della Linea Gotica, nella convinzione che il movimento partigiano fosse stato represso. Smentendo in pieno tale convinzione, le formazioni della Resistenza scesero immediatamente nei maggiori centri abitati del fondovalle, Varallo e Borgosesia in particolare, prendendo da qui il controllo del territorio. Nonostante la scelta di ricorrere a una forma istituzionale non democratica, l'esperienza della zona libera avvicinò notevolmente la popolazione al movimento partigiano[1].

In tale contesto un consistente gruppo di carabinieri di stanza a Varallo e nell'alta valle si misero al servizio delle forze partigiane[7].

La "zona libera" nacque in un clima di forte incertezza e timore del contrattacco nemico. Data la precarietà della situazione, fu scartata la proposta di un governo dei CLNAI, avanzata dagli stessi comitati mediante le direttive dell'aprile 1944. La gestione fu dunque affidata ai commissari civili, figure create in quella specifica occasione. In diverse località gli stessi podestà, se non invisi alla popolazione o compromessi col regime appena decaduto, furono nominati commissari. Il commissario civile aveva, tra gli altri, il delicato compito di controllare tutte le aziende e le fabbriche[4].

Economia e società

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Con gli industriali fu raggiunto un accordo a garanzia della continuità produttiva: da un lato fu loro impedito di lavorare per i tedeschi e di versare tasse alla Repubblica Sociale, dall'altro ottennero l'assicurazione che non avrebbero subìto atti di sabotaggio da parte dei partigiani[4].

I servizi civili (poste, telefono e comunicazioni) non subirono interruzioni. Furono aboliti gli ammassi imposti dalla Repubblica Sociale, introdotto il controllo di vendita e prezzi dei generi contingentati, aumentate le razioni alimentari e le quantità di prodotti periodicamente requisiti dai tedeschi, quali la legna[4]. Furono approntate mense aziendali nelle fabbriche e mense per disoccupati e bisognosi[8].

Fu attivo anche un "ufficio artistico" di Divisione, incaricato di realizzare mostrine (stella alpina su campo rosso e blu, distribuite durante il mese di agosto 1944, vedi sez. Mostrine) e bracciali per i vari corpi, francobolli, cartoline e cartelloni di propaganda[6][9].

Si ricordano inoltre numerose iniziative pubbliche. A titolo di esempio, due eventi tenuti a Varallo: il 23 giugno 1944 fu organizzata una conferenza a tema patriottico; il 25 luglio, alcuni giorni dopo il contrattacco conseguente i rastrellamenti nazifascisti del 2-19 luglio, la banda musicale tenne un concerto[8][4].

A Borgosesia furono requisite alcune ville, adibite a colonia per bambini e ricovero per anziani[4].

L'assistenza sanitaria fu garantita grazie all'ambulatorio civile tenuto da alcuni medici partigiani, sebbene gli ospedali di Varallo e Borgosesia rimanessero i punti di riferimento. Data l'evidente distanza da tali centri, furono organizzati alcuni corsi rapidi per infermieri, destinati ai numerosi giovani giunti al Comando ma ancora privi di armi ed equipaggiamento[4].

Il 28 giugno 1944[9] i vertici della 1ª divisione Garibaldi, su suggerimento di Giuseppe Lacroix (il dottor "Primula Rossa", dirigente del servizio sanitario interdivisionale delle formazioni partigiane di Valsesia, Ossola, Cusio, Verbano e Biellese[10]) affiancarono al pretore di Varallo Sesia un commissario giudiziario, espressione dello stesso Comitato di Liberazione Nazionale, incaricato di intervenire nelle cause sia civili che penali: riceveva in visione ogni fascicolo processuale dal pretore, indirizzava le cause e ratificava le sentenze, con facoltà di inasprire o alleviare le pene comminate. Pretore e commissario, tuttavia, avevano lo stesso peso decisionale, in caso di disaccordo l'ultima parola spettava all'autorità militare[11].

La competenza dei reati militari restava invece del comando di divisione. Spie e collaborazionisti venivano immediatamente condannati a morte per impiccagione. Per i colpevoli minorenni erano ritenuti responsabili i genitori[11].

Tratteggiando il profilo della giustizia nei territori liberati dalla Resistenza, lo storico Tullio Omezzoli non manca di sottolineare alcuni aspetti negativi di quanto appena esposto: pur essendo sul piano formale al medesimo livello del pretore, la figura del commissario aveva sostanzialmente più peso; la facoltà del commissario di variare le pene a seconda «della natura sociale dei reati e della categoria sociale dei colpevoli» era un chiaro principio di giustizia classista; l'ultima parola che aveva l'autorità militare nell'ambito della giustizia ordinaria toglieva a quest'ultima qualsiasi autonomia[11].

Per la copertura militare della zona fu istituito il Battaglione "Volante Rossa": dotato di automezzi e ben armato, poteva spostarsi velocemente e difendere con efficacia la valle[8][4].

Occorre ricordare inoltre che l'istituzione della zona libera corrispose a numerosi arruolamenti, che alimentarono oltre misura le file della Resistenza: si trattava principalmente dei giovani di leva richiamati alle armi, provenienti in gran parte dalla pianura. Tale mole di nuove reclute soffriva tuttavia di forti difficoltà di gestione logistica, mancando armi, viveri e tempo per addestrarle alla guerriglia[12].

Con l'imminente ritorno dei reparti nazifascisti, i comandi partigiani optarono per lo spostamento delle forze verso Alagna, onde procedere dunque allo sganciamento tramite le valli laterali, secondo la tattica consolidata in occasione del rastrellamento di aprile. Data la mole di reclute recentemente acquisite, tuttavia, a luglio si dovettero mobilitare più di un migliaio di persone, molte delle quali senza dimestichezza con la montagna e senza calzature adeguate: lo sganciamento si trasformò in una disordinata ritirata, durante la quale numerosi combattenti furono arrestati, complice la presenza di una rete di informatori fedelissimi al regime[12]. Le operazioni nazifasciste durarono dal 2 al 10 luglio 1944[1]. Il 12 luglio fu infine intercettata e arrestata una squadra di dieci carabinieri che trasportavano esplosivi destinati a far saltare i ponti sul fiume Sesia, allo scopo di ritardare l'avanzamento dei nazifascisti e guadagnare tempo prezioso alle operazioni di sganciamento[7].

Tra gli arrestati, otto carabinieri e sette partigiani furono fucilati presso il cimitero di Alagna da un reparto di SS italiane (Höchster SS und Polizeiführer Italien/SSPF Oberitalien-West) su ordine del tenente Guido Pisoni, il successivo 14 luglio[12][7][13].

La storiografia ha più volte riportato l'esperienza della Valsesia, sia in termini di "zona libera" che come "repubblica".

Nel 1947 è citata come "zona libera" da Luigi Longo («liberata d'un tratto [...] ricacciando e inseguendo audacemente fascisti venuti a rastrellare») e da Italo Pietra e Remo Muratore, sebbene entrambe le fonti utilizzino le due espressioni in modo intercambiabile, coerentemente a diverse trattazioni di quegli anni[14][15].

La prima distinzione è introdotta da Roberto Battaglia il decennio successivo: nel 1953 lo storico romano colloca la Valsesia nella prima fase delle zone libere, sorte nell'estate 1944 e incentrate sulle attività economiche e amministrative (alla seconda fase, nell'autunno 1944 e caratterizzate da attività più prettamente politiche, appartengono invece l'Ossola e la Carnia)[15].

Alla fine degli anni '60 lo storico Massimo Legnani approfondisce il tema delle esperienze dell'estate 1944, appuntando come fossero strettamente legate all'attesa offensiva finale alleata, che però non sarebbe arrivata. Altro fattore caratterizzante era la difficoltà di comunicazione e collaborazione tra resistenza militare e resistenza politica: tra loro, al loro interno e nei confronti della popolazione[16]. Propone dunque due criteri per identificare le "repubbliche" nel più vasto insieme delle "zone libere". Da un lato le "repubbliche" corrispondono alle realtà ove gli interventi amministrativi e politici hanno avuto tale durata e intensità da incidere sul profilo stesso della Resistenza, anticipando l'assetto futuro della vita locale che il movimento avrebbe portato[17]. Dall'altro lo storico riserva la definizione "repubblica" solo ai territori che hanno visto l'effettiva ed equilibrata collaborazione («non sovrapposizione») tra i comandi partigiani e gli organi politico-amministrativi[18].

A cavallo del secolo le opinioni discordano ancora: nel 1995 Raimondo Luraghi la definisce "repubblica"[19], mentre nel 2000 Luca Baldissara la annovera tra le «zone di insediamento partigiane», distinte dalle «zone libere con confine riconoscibile» (tra cui l'Ossola)[20].

Un discrimine più preciso per classificare le zone libere piemontesi è fornito nel 2013 da Gabriella Spigarelli: ponendo il limite temporale ad un mese, il limite geografico a 1000 km2 e il limite demografico a 10.000 abitanti, la definizione si riduce a sole otto realtà, tra cui la Valsesia e l'Ossola[21].

Nel 2014, sulla rivista Patria dell'ANPI, la Valsesia è definita "zona libera"[22].

La storiografia della "repubblica" della Valsesia (denominata così dal CLNAI) ha sofferto dell'opposizione ricevuta all'interno delle stesse fazioni partigiane, primo fra tutti Moscatelli, che ne rifiutavano l'istituzione politica relegandola a mera "zona libera". Opposizione concretizzatasi in pratiche tendenti a sminuirne l'importanza, portate avanti sia dall'ANPI e da alcuni storici locali[6].

È storicamente assodato che Moscatelli fosse contrario ad ogni forma repubblicana (posizione confermata nei giorni della Repubblica dell'Ossola)[23], motivo per cui propendeva per non lasciarne memoria[6].

Negli ultimi anni, storici, scrittori e ricercatori della tematica stanno facendo luce sugli aspetti non chiari dei primi anni del dopoguerra, rileggendo obiettivamente sia il carteggio tra CLNAI e la Divisione Valsesia sia le pubblicazioni della stampa clandestina dell'epoca[6] (La Stella Alpina)[8].

Brigate Garibaldi "IIª Divisione Valsesia"

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Cino Moscatelli, commissario politico della Divisione Valsesia.

La zona operativa "Valsesia" del Corpo volontari della libertà, avente competenza anche per l'Ossola e il Cusio, era diretta da un Comando zona alle cui dipendenze operavano le brigate "Garibaldi" (e relativi reparti dipendenti) inquadrate in quattro divisioni.

"Ciro" Eraldo Gastone, comandante militare della Divisione Valsesia.

Le formazioni garibaldine erano così strutturate: le squadre erano composte da dieci-quindici uomini; tre squadre formavano un distaccamento, tre distaccamenti un battaglione, tre battaglioni costituivano una brigata, tre brigate formavano una divisione.

Qui di seguito si riporta l'elenco delle divisioni e brigate e dei relativi comandi[24][25]:

Presenti in Valsesia ma inquadrati nella 1ª Divisione d'assalto "Garibaldi":

In Ossola e Cusio:

Mostrine delle divisioni partigiane Valsesiane

Nate a fine agosto del 1944, vennero ordinate in 15.000 pezzi ad una ditta di Milano da Vincenzo Moscatelli tramite il fratello di Eraldo Gastone, rispettivamente commissario politico e comandante del raggruppamento Divisioni Valsesia, Ossola, Cusio e Verbano. La ditta rispose che non si sentiva sicura a produrle temendo per l'incolumità dei propri operai, poiché il rischio di ritorsione nazista era troppo alto. Si pensò quindi di aggirare l'ostacolo facendole simili a quelle dei Gebirgsjäger tedeschi: differenti solo per avere sullo stelo una fogliolina in più e una più corta, e il polline, al centro, non dorato. Se si fosse verificato un controllo, l'azienda avrebbe potuto far passare l'ordinazione per una richiesta della Wehrmacht. I garibaldini della Valsesia e dell'Ossola ebbero così le loro mostrine[29][30].

Il canto partigiano Valsesia Valsesia, la cui melodia deriva da Dalmazia, Dalmazia, è un vecchio brano cantato prima dagli arditi e poi dai dannunziani. Fu utilizzato e divenne l'inno della Divisione San Marco della Xª MAS. In seguito, i partigiani della Valsesia la rielaborarono, tanto da assurgere a inno della "Divisione Valsesia" e una delle canzoni più conosciute della zona[31].

«Quando si tratta di attaccare
noi del Moscatelli siamo i primi
tutti si fermano a guardare
tutti si affacciano ai balcon

Contro i tedeschi e repubblichini
combatteremo siam partigiani
ai nostri monti l'abbiam giurato
dobbiamo vincere o morir

Valsesia! Valsesia!
cosa importa se si muore
questo è il grido del valore
partigiano vincerà

Quando si tratta di attaccare
Quelli del Pedar[32] sono i primi
tutti cominciano a sparare
e dalla Valsesia vincerem

A Moscatelli l'abbiam giurato
Ai nostri morti gridiam così
Ai nostri monti l'abbiam giurato
Vogliamo vincere o morire

Valsesia! Valsesia!
cosa importa se si muore
questo è il grido del valore
partigiano vincerà

Valsesia! Valsesia!
cosa importa se si muore
questo è il grido del valore
partigiano vincerà»

Medaglia d'oro al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Ribelle alla occupazione nazifascista, la Valsesia combatteva durante venti mesi la dura guerra partigiana per la liberazione nazionale. Perizia di capi, valore di migliaia di partigiani e patrioti di aggressive, manovriere formazioni, solidarietà rischiosa e appassionata delle popolazioni alla Resistenza, impegnavano duramente, con armi e mezzi tolti al nemico ed insidiosa ostilità dell'ambiente, numerosi presidi ed ingenti unità operative dell'occupante, infliggendogli, con il combattimento ed il sabotaggio, rilevanti perdite umane e materiali ed esiziale oneroso logorio di forze. Sottoposta a rastrellamenti, repressioni cruente e distruzioni, irriducibile, non si piegava all'oppressore e centinaia di caduti in armi, decine di trucidati per rappresaglia testimoniano il tributo di valore e di sofferenza, con cui i combattenti e le popolazioni della Valsesia per congiunte virtù militari e civili opponevano all'oppressore la forza invincibile dell'amore per la libertà e l'indipendenza della Patria.»
— 9 settembre 1973 (conferita per la Valsesia alla città di Varallo)[34]
  1. ^ a b c Enrico Pagano, Nelle zone libere: esperimenti di democrazia - Biella, Vercelli e provincia (PDF), in AA.VV., Il Piemonte nella guerra e nella Resistenza: la società civile (1942-1945), 2015, p. 43. URL consultato il 29 agosto 2024 (dossier compilato da storici e ricercatori degli Istituti della Resistenza di Alessandria, Asti, Biella-Vercelli, Cuneo, Novara e Torino per conto del Consiglio regionale del Piemonte e del Comitato Resistenza e Costituzione).
  2. ^ Alessandro Quinti, La Repubblica della Valsesia, su Indipendente-mens. URL consultato il 29 agosto 2024.
  3. ^ Carrattieri, 20152ª fase: 1960-1975, p. 5.
  4. ^ a b c d e f g h Giuseppe Rasolo, ANPI Valle d'Aosta, Le Repubbliche partigiane della Valsesia (PDF), Due giornate per non dimenticare, Cogne-Charvensod-Aosta, 23 agosto-6 settembre 2014, 2014, pp. 12-14. URL consultato il 30 agosto 2024.
  5. ^ Zandano, 1957, pp. 37 e seguenti.
  6. ^ a b c d e Giabardo, 2011.
  7. ^ a b c Enrico Pagano, A favore dell'Arma. L'attività nel periodo clandestino di Rodolfo Avogadro di Vigliano, questore di Vercelli nominato dal CLN (PDF), in l'impegno, n. 2, Varallo Sesia, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia, dicembre 2015, p. 76. URL consultato il 14 settembre 2024.
  8. ^ a b c d La Stella Alpina, La Stella Alpina 1944-1946, Valsesia, Consiglio della Valle, 1972.
  9. ^ a b La zona libera della Valsesia, 10 giugno-11 luglio 1944, su Istituto Storico Modena, 27 novembre 2006. URL consultato il 7 novembre 2018 (archiviato dall'url originale il 7 marzo 2016).
  10. ^ Ivano Lideo, Padre russo, l'intermediario (PDF), in l'impegno, n. 1, Varallo Sesia, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia, giugno 2006, p. 79. URL consultato il 12 settembre 2024.
  11. ^ a b c Tullio Omezzoli, Giustizia partigiana nell'Italia occupata. 1943-1945 (PDF), Le Château, 2019, pp. 213-214, ISBN 978-8876-372-28-5. URL consultato il 29 agosto 2024. Ospitato su Istituto storico della Resistenza e della società contemporanea in Valle d'Aosta.
  12. ^ a b c Enrico Pagano, Cimitero di Alagna, 12-14.07.1944, su Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, 12 ottobre 2016. URL consultato il 29 agosto 2024.
  13. ^ Nell'immediato dopoguerra il podestà di Alagna dell'epoca, Enrico Guglielmina, fu processato dai partigiani per la responsabilità delle delazioni che portarono all'arresto delle 15 vittime, condannato a morte e fucilato. La Corte d'Assise straordinaria di Vercelli condannò il tenente Guido Pisoni a morte in contumacia e quattro donne di Alagna al carcere per complicità nelle delazioni col Guglielmina ( Enrico Pagano, Cimitero di Alagna, 12-14.07.1944, su Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, 12 ottobre 2016. URL consultato il 29 agosto 2024).
  14. ^ Carrattieri, 20151ª fase: 1945-1960, p. 2.
  15. ^ a b Carrattieri, 20151ª fase: 1945-1960, p. 3.
  16. ^ Carrattieri, 20152ª fase: 1960-1975, pp. 6-7.
  17. ^ Carrattieri, 20152ª fase: 1960-1975, p. 7.
  18. ^ Carrattieri, 20152ª fase: 1960-1975, p. 8.
  19. ^ Carrattieri, 20153ª fase: 1975-1995, p. 12.
  20. ^ Carrattieri, 20154ª fase: 1995-2010, p. 13.
  21. ^ Carrattieri, 2015Verso e oltre il Settantesimo: 2010-2015, p. 16.
  22. ^ Carrattieri, 2015Verso e oltre il Settantesimo: 2010-2015, p. 19.
  23. ^ Bocca, 1964.
  24. ^ Zona operativa "Valsesia", su Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia. URL consultato il 29 aprile 2011 (archiviato dall'url originale il 3 febbraio 2014).
  25. ^ Brigate Garibaldi, fasc. 473 (1943-1945) [collegamento interrotto], su teamsviluppo.com, gennaio 2018.
  26. ^ Roberto Roggero, Appendice 3 - Le Brigate «Garibaldi», in Oneri e onori: le verità militari e politiche della guerra di liberazione in Italia, Greco & Greco, 2006, p. 558. Ospitato su Google Libri.
  27. ^ Renzo Fiammetti (a cura di), Rolando Italo, su Istituto storico della Resistenza e della società contemporanea nel Novarese e nel Verbano-Cusio-Ossola "Piero Fornara" (archiviato dall'url originale l'8 agosto 2014).
  28. ^ Resistenza e guerra di Liberazione (I Carabinieri nella), su Carabinieri. URL consultato il 27 agosto 2024.
  29. ^ Filippo Colombara, Vesti la giubba di battaglia. L'abbigliamento partigiano tra rigore e stravaganze, in L'impegno, n. 2, dicembre 2006. URL consultato il 27 aprile 2011 (archiviato dall'url originale il 17 maggio 2008).
  30. ^ Stefano Garzaro, Le zone libere partigiane, in Per la libertà. Raccontare oggi la Resistenza, Piemme, 2024, ISBN 978-8858-533-57-4. URL consultato il 29 agosto 2024. Ospitato su Google Libri.
  31. ^ Marco Cecchini, «Se l'asino è a Roma, il bue è a Berlino» Le vicende della guerra viste attraverso il canzoniere della Resistenza (PDF), in Patria Indipendente, 21 luglio 2002, pp. 45-46. URL consultato il 27 agosto 2024.
  32. ^ Ogni Brigata Garibaldi usava il nome di battaglia del proprio comandante.
  33. ^ Filmato audio Associazione Occhi Aperti, Musica Resistente, su YouTube, 6 maggio 2007. URL consultato il 28 agosto 2024 (arrangiamento del brano "Valsesia! Valsesia!" ad opera del gruppo BeFolk).
  34. ^ Gianfranco Astori e Laura Peretti, 9 settembre 1973 - La consegna della medaglia d'oro alla Città di Varallo per la Valsesia - Memorie (PDF), in l'impegno, n. 1, Varallo Sesia, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia, giugno 2014, pp. 181-194. URL consultato il 10 settembre 2024.
  • Gianni Zandano, La Lotta di Liberazione nella Provincia di Vercelli, Vercelli, SETE, 1957.
  • Giorgio Bocca, Una repubblica partigiana. Ossola, 10 settembre - 23 ottobre 1944, Il Saggiatore, 1964.
  • Pietro Secchia, Le zone libere - La zona libera della Valsesia, in Istituto Giangiacomo Feltrinelli (a cura di), Il Partito Comunista Italiano e la guerra di liberazione, Annali, Milano, Feltrinelli, 1973, pp. 514-524. URL consultato il 30 agosto 2024. Ospitato su Google Libri.
  • Marco Giabardo, Valsesia! Valsesia! - Storia di una repubblica assassinata, Storia Ribelle, 2011.
  • Mirco Carrattieri, I confini della libertà. La cartografia delle "repubbliche partigiane" nella storiografia sulla resistenza italiana (PDF), in Roberta Mira e Toni Rovatti (a cura di), «Il paradosso dello Stato nello Stato». Realtà e rappresentazione delle zone libere partigiane in Emilia Romagna, E-Review, vol. 3, Bologna, BraDypUS, 2015, ISSN 2282-4979 (WC · ACNP). URL consultato il 29 agosto 2024.

Approfondimenti

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  • Giancarlo Pajetta (Marra), Con i garibaldini in Valsesia, Roma, Soc. Ed. L'Unità, 1945.
  • Aldo Benoni (a cura di), Con questa mostrina - Ai nostri caduti, Novara, ANPI Provinciale, 1946.
  • Pietro Secchia e Cino Moscatelli, Il Monte Rosa è sceso a Milano: la Resistenza nel Biellese, nella Valsesia e nella Valdossola, Torino, Einaudi, 1958. Ospitato su Google Libri.
  • Cesarina Bracco, La staffetta garibaldina, Pollone, Leone & Griffa, 1999 [1976].
  • Ester Barbaglia, La Spezia combatte in Valsesia, Borgosesia, Istituto per la storia della Resistenza in provincia di Vercelli, 1979.
  • Piero Ambrosio, I notiziari della Gnr della provincia di Vercelli all'attenzione del duce, Borgosesia, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in provincia di Vercelli, 1980.
  • Enzo Barbano, Lo scontro a fuoco di Varallo del 2 dicembre 1943, Borgosesia, Istituto per la storia della Resistenza in provincia di Vercelli, 1982.
  • Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli, Ricordo di Cino Moscatelli (PDF), 2ª ed., Varallo Sesia, Fondazione CRT, 2011 [1982].
  • Enzo Barbano, Il paese in rosso e nero, Varallo, Comune di Varallo, 1985.
  • Piero Ambrosio e Gladys Motta (a cura di), Sui muri della Valsesia. Settembre 1943 - aprile 1945, Borgosesia, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in provincia di Vercelli, 1986.
  • Cesare Bermani, Pagine di guerriglia. L'esperienza dei garibaldini della Valsesia, Borgosesia, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli, 4 voll., 1995-2000.
  • Alfredo Borgo, Un abito celeste, Borgosesia, Corradini, 1995.
  • Carlo Vallauri, Le Repubbliche partigiane: Esperienze di autogoverno democratico, Laterza, 2014.

Altri progetti

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Collegamenti esterni

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