V407 Cygni
V407 Cygni A/B | |
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Classe spettrale | Mep E[1] |
Tipo di variabile | Nova simbiotica |
Periodo di variabilità | A: 763 giorni[2] |
Distanza dal Sole | 17 300 ± 3 300 anni luce (5 300 ± 1 000 parsec)[3] |
Costellazione | Cigno |
Coordinate | |
Ascensione retta | 21h 02m 09.8173494732s[1] |
Declinazione | +45° 46′ 32.736335364″[1] |
Parametri orbitali | |
Semiasse maggiore | (A−B): 16 au[2] |
Periodo orbitale | (A−B): 43 anni[4] |
Dati fisici | |
Massa | |
Dati osservativi | |
Magnitudine ass. | −8,85 − +3,5[3] |
Parallasse | 0,0928±0,1747 mas[1] |
Moto proprio | AR: −1,556 mas/anno Dec: −4,474 mas/anno[1] |
Nomenclature alternative | |
V407 Cygni (V407 Cyg) è una nova simbiotica situata nella costellazione del Cigno.
Caratteristiche
[modifica | modifica wikitesto]V407 Cygni è stata scoperta nel 1936[3], ed è costituita da una gigante rossa di classe M variabile Mira legata in coppia con una nana bianca da essa occultata.[4][5]
La stella gigante, tramite il vento stellare, espelle materiale che viene raccolto e accumulato sulla superficie della nana bianca formando una nebulosa. Quando il materiale accumulato raggiunge una densità critica si determina un'intensa esplosione, che dà all'oggetto la tipica caratteristica della nova.
L'analisi dei dati di archivio ha permesso di rintracciare almeno un paio di episodi esplosivi, uno risalente agli anni 30, e uno più recente verificatosi nel 2003.[5][6]
L'esplosione di raggi gamma
[modifica | modifica wikitesto]Il 10 marzo 2010 il satellite osservatorio di raggi gamma Fermi Gamma-ray Space Telescope ha rilevato un evento transiente costituito da un'intensa emissione di raggi gamma (0,1−10 GeV), la cui associazione a V407 Cygni ha permesso di classificarla come la prima nova in grado di emettere raggi gamma che sia mai stata scoperta. A questa emissione gamma corrispondeva un'intensa eruzione visibile nella banda ottica (fino a magnitudine +7, quando di norma la stella non superava la 13ª magnitudine).[7][8]
Successive indagini tramite il Very Long Baseline Interferometry (VLBI) hanno permesso di registrare intense emissioni di onde radio, dalle cui analisi si è potuta studiare la morfologia del materiale accumulato sulla nana bianca e come venga modificato dagli eventi esplosivi, riscontrando strette somiglianze con Hen 2-104 (o Nebulosa Granchio australe), un'altra nova simbiotica che ha subito un'intensa esplosione circa 5700 anni fa.[6]
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b c d e V407 Cygni, su Simbad. URL consultato il 9 dicembre 2020.
- ^ a b c Kuo-Chuan Pan, Paul M. Ricker e Ronald E. Taam, Simulations of the symbiotic recurrent nova V407 Cyg. I. Accretion and shock evolutions, in The Astrophysical Journal, vol. 806, n. 1, 5 giugno 2015, p. 27, DOI:10.1088/0004-637X/806/1/27. URL consultato il 12 dicembre 2020.
- ^ a b c T. Iijima, NEW FEATURES OF THE SYMBIOTIC RECURRENT NOVA V407 CYGNI FOUND IN THE OUTBURST IN 2010, in The Astronomical Journal, vol. 150, n. 1, 30 giugno 2015, p. 20, DOI:10.1088/0004-6256/150/1/20. URL consultato l'11 dicembre 2020.
- ^ a b (EN) Guoliang Lü, Chunhua Zhu e Zhaojun Wang, Gamma-ray sources like V407 Cygni in symbiotic stars: Gamma-ray sources in symbiotic stars, in Monthly Notices of the Royal Astronomical Society: Letters, vol. 413, n. 1, 1º maggio 2011, pp. L11–L14, DOI:10.1111/j.1745-3933.2011.01021.x. URL consultato il 9 dicembre 2020.
- ^ a b Ufficio stampa Inaf, Lo shock della prima nova gamma, su MEDIA INAF, 29 giugno 2020. URL consultato il 9 dicembre 2020.
- ^ a b (EN) M. Giroletti, U. Munari e E. Körding, Very long baseline interferometry imaging of the advancing ejecta in the first gamma-ray nova V407 Cygni, in Astronomy & Astrophysics, vol. 638, 1º giugno 2020, pp. A130, DOI:10.1051/0004-6361/202038142. URL consultato il 9 dicembre 2020.
- ^ K. Nishiyama, F. Kabashima e T. Kojima, V407 Cygni, in International Astronomical Union Circular, vol. 9130, 1º marzo 2010, p. 1. URL consultato il 9 dicembre 2020.
- ^ Shuji Deguchi, Kazutaka Koike e Nario Kuno, SiO Maser Spectra of V407 Cygni after the 2010 March Nova Outburst, in Publications of the Astronomical Society of Japan, vol. 63, n. 1, 25 febbraio 2011, pp. 309-315, DOI:10.1093/pasj/63.1.309. URL consultato il 9 dicembre 2020.